Ricolfi e Mastrocola, Manifesto contro il politicamente corretto: no alla censura, sì al buon senso
“La parola oggi è sofferente. È la parola degradata dei social. Abusata, stravolta, strumentalizzata, incattivita, imbarbarita, usata a sproposito, storpiata, sgrammaticata, svilita. Lasciata in pasto alla massa, che la bistratta senza riguardo. Ma è anche la parola imprigionata. Nei luoghi seri e ufficiali, negli ambiti che contano, nelle grandi aziende e nelle istituzioni, nel mondo della comunicazione, della pubblicità e dello spettacolo, è la parola ammutolita e modificata. Eterodiretta, imposta, reindirizzata”. Comincia così il libro di Luca Ricolfi e Paola Mastrocola, Manifesto del libero pensiero, acquistabile in allegato con Repubblica ed edito da La Nave di Teseo e Gedi.
Ma chi è che imprigiona il linguaggio? Chi è che soffoca la parola? Quell’atteggiamento culturale che va sotto l’etichetta fluida di “politicamente corretto”. Una cappa contro la quale Ricolfi si è scagliato in più di un’occasione e sulle cui conseguenze si sofferma in questo “manifesto” che mette in luce anche come si sia ormai determinato un conformismo intollerante che penalizza chi non è allineato.
Ricolfi e Mastrocola sottolineano poi un altro importante fattore: l’ideologia del politicamente corretto non è più solo il modo di pensare del fronte progressista. Essa è divenuta l’ideologia dell’establishment. E’ l’arma che la classe dominante utilizza per delegittimare ogni forma di dissenso. Usando la censura, l’ipocrisia, la distruzione della reputazione di individui e gruppi.
Altro fattore che si determina grazie all’egemonia del politicamente corretto è il vittimismo, soprattutto nelle categorie fragili o che si rappresentano come tali. Ognuno è portato a sentirsi dentro il paradigma della vittima e quindi a suscitare attorno a sé una solidarietà collosa e asfissiante. Ecco che torna la metafora della cappa che soffoca. E che si alimenta grazie all’ignoranza.
Un esempio? Si considera sessista la parola “history” e la si vorrebbe sostituire con la parola “herstory” sostituendo il pronome maschile inglese “his” con il pronome femminile “her“. Ma la radice della parola non proviene dall’inglese his ma dal latino historia. Quindi questa anche battaglia linguistica è l’ennesima riprova dello sciocchezzaio che il politicamente corretto produce finendo con l’abbrutire la conoscenza e la cultura.