Roberto Vecchioni: “Sull’aggressione dei fascisti ho un po’ esagerato, noi artisti facciamo così…”

15 Nov 2021 15:19 - di Luca Maurelli

La post-verità di Roberto Vecchioni arriva tra le righe, illuminando con la sincerità tardiva una delle sue più belle canzoni, “Stranamore”, quelli che un po’ tutti, da destra e da sinistra, hanno cantato in gioventù insieme ad altri capolavori come “Luci a San Siro” e “Samarcanda”. Scopriamo oggi, però, che in “Stranamore” quella che era risuonata per decenni come una pesantissima denuncia politica contro i “fascisti” (a senso unico, ovviamente, visto che eravamo negli anni di Piombo dove a Milano i comunisti ammazzavano con le chiavi inglesi per molto meno di un giornale) il verso principale è stato un po’ ritoccato, a beneficio dell’arte, confessa Vecchioni nella sua intervista al Corriere della Sera.

Quel verso autobiografico, nel quale si narrava di un pesante pestaggio da parte dei fascisti per un giornale che il cantautore non voleva comprare – “a ogni pugno che calava dritto sulla testa….” – al massimo si era realizzato con un paio di schiaffoni. Gesto grave, per carità, ma non proprio da consegnare alla storia della musica e della politica, anche perché a quei tempi di giornali venduti a suon di schiaffoni ne circolavano tanti, tantissimi, ma a sinistra, che al massimo poteva vantare il Secolo d’Italia, quando qualcuno riusciva davvero a venderlo senza farsi menare.

Roberto Vecchioni e l’aggressione fascista di “Stranamore”

Cosa faceva nel ’68?, gli chiede Aldo Cazzullo. «Mi sono laureato alla Cattolica. Ricordo Mario Capanna: molto serio, sempre contrario alla violenza. Che però c’era, da una parte e dall’altra». In Stranamore lei descrive un’aggressione fascista: «A ogni pugno che arrivava dritto sulla testa la mia paura non bastava a farmi dire basta…».

Il testo: “E il primo disse: “Ah sì? Non vuoi comprare il nostro giornale?!”
E gli altri: “Lo teniamo fermo tanto per parlare”
ed io pensavo: “Ora gli dico: Sono anch’io fascista” –
ma ad ogni pugno che arrivava dritto sulla testa
la mia paura non bastava a farmi dire basta.
Forse non lo sai ma pure questo è amore“.

Mai dire sinistra, anche se le femministe s’arrabbiano

Ed ecco cosa risponde Vecchioni, sul testo di denuncia che gli aveva regalato fama politica e musicale: «Mi picchiarono davvero, perché non volevo comprare il loro giornale, come dice la canzone. Però fu solo qualche ceffone. Nell’arte si esagera sempre un po’».

Ma la politica, ricorda, era entrata anche nella canzone che vinse Sanremo, “Chiamami amore”. «Una canzone politica. C’è Berlusconi, ci sono i licenziati Fiat. C’è l’Italia della grande crisi, che chiedeva un cambiamento. Berlusconi cadde otto mesi dopo». E la sinistra? Questa parola non trova ospitalità nell’intervista, anche quando Vecchioni ammette di aver subito pesanti attacchi per quella canzone che confessava di volere una donna con la gonna.

Roba che la Boldrini, oggi, avrebbe fatto tre puntate da Fazio, se l’avesse detta Salvini. «Quella canzone non era antifemminista. Ma le donne non devono diventare come gli uomini, in particolare quelli che non amo: i ricchi, i radical chic. Ne L’ultimo spettacolo dico alla donna che mi sta lasciando: “Non ti ho mai considerata roba mia”».

Difendere una gonna, a sinistra, può diventare più pericoloso che difendere un giornale, ma Vecchioni non dice che l’avevano attaccato i suoi stessi compagni. Ah no, forse erano gli stessi fascisti del giornale da comprare, quelli dei pugni, ah no, dei ceffoni, forse.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *