Strage di Bologna, a tre mesi dall’appello si accende lo scontro sui resti di Maria Fresu
Strage di Bologna. Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e pubblichiamo
La Corte d’assise d’appello di Bologna nega al collegio difensivo di Gilberto Cavallini una nuova indagine genetica sui resti che furono attribuiti a Maria Fresu e che, invece, nel corso del processo di primo grado furono scoperti appartenere a persona diversa da lei e, con tutta sicurezza, anche da qualunque altra vittima conosciuta della Strage di Bologna. Tutto sommato, a leggere la motivazione dell’ordinanza dei giudici di secondo grado, la decisione non appare del tutto negativa, quando si legge che i magistrati rilevano come questa analisi sia già stata effettuata e le “risultanze siano a disposizione di tutte le parti”. Il problema è che sia i giudici di primo grado sia le parti civili hanno accuratamente evitato di trarre le debite conclusioni di quelle “risultanze”, arrampicandosi su sfumature in realtà insignificanti della relazione consegnata a suo tempo dalla genetista Elena Pilli, nel tentativo di inficiarne l’enorme valenza probatoria.
Strage di Bologna: nuova perizia
Una nuova perizia – per di più effettuata da Emiliano Giardina, considerato attualmente il “numero uno” in materia e proprio per queste sue indubbie fama e competenza indicato come “consulente di parte” dai difensori di Cavallini – avrebbe, se non altro, definitivamente tarpato le ali alle polemiche strumentali. È anche vero, per completezza dell’informazione, che la Corte d’assise d’appello non ha escluso definitivamente questa possibilità, rinviando eventualmente la legittima richiesta degli avvocati Alessandro Pellegrini e Gabriele Bordoni alle fasi iniziali del nuovo dibattimento.
Quel che sorprende, semmai, è lo scarso interesse fin qui dimostrato dalla grande stampa sull’intera vicenda dei resti erroneamente attribuiti alla Fresu e alle naturali conseguenze a cui porta la consapevolezza dell’esistenza di una 86esima vittima nell’attentato del 1980. Un atteggiamento perfettamente attagliato a quello dimostrato fin qui dai magistrati che si sono dovuti occupare della vicenda e che vede tutte le persone coinvolte a vario titolo prendere atto svogliatamente di questa realtà inoppugnabile, evitando, però, di ragionarci sopra con la serietà e l’adeguatezza che meriterebbe questa verità.
Processo d’appello a gennaio: si accende lo scontro
In particolare, al di là del dato genetico su cui – come, per di più, la stessa Corte d’assise d’appello scrive – poc’altro ci sarebbe da discutere, sul fatto che sia innegabile come la “maschera facciale” che fu ritrovata sul primo binario sia stata – e pare sia ancora – oggetto di ripetuti tentativi di occultamento, nel disperato tentativo di non far emergere la presenza di altre persone, nella stazione di Bologna in quel maledetto 2 agosto 1980: Persone del tutto distinte e distanti dagli imputati e dai condannati appartenenti ai Nar. Tentativi già documentati e che saranno ulteriormente illustrati nei prossimi mesi e in quelli che, a partire da gennaio, vedranno la celebrazione del processo d’appello. E non c’è dubbio come, sulla “maschera facciale” e sul tentativo di occultarne esistenza e significativo, si accenderà il vero, durissimo e definitivo scontro non solo tra i legittimi attori del procedimento penale, ma tra le due contrapposte, ormai irrimediabilmente, visione e lettura del più grave e tragico attentato mai compiuto nel nostro Paese.