Strage di Bologna, Cutonilli: “Il rinvio del processo Cavallini lascia perplessi. Ecco perché”
Avvocato, autore di due libri sulla strage di Bologna, espertissimo della lunga vicenda giudiziaria che si sta trascinando dal 1980, con incredibili colpi di scena – gli ultimi alcuni mesi fa con la scoperta che i resti attribuiti a Maria Fresu appartengono a due donne sl momento sconosciute – Valerio Cutonilli è probabilmente la persona più adatta a spiegare, anche tecnicamente, cosa sta succedendo nel capoluogo felsineo e perché l’inizio del processo d’appello a Gilberto Cavallini è stato improvvisamente rinviato di un anno e tre mesi, giacchè comincerà nell’aprile 2023.
“Sinceramente resto perplesso. Da quanto risulta, nel provvedimento non sono specificati i motivi del lungo rinvio. Lei sa cosa pensa l’Europa dei tempi della nostra giustizia?”
Si, certo. Ma forse, nel caso del processo per la strage di Bologna, dipende dall’esistenza di molte cause nel ruolo?
“Dubito fortemente che presso la Corte d’Appello di Bologna possa pendere un solo processo per fatti più grave di quello della strage alla stazione. Peraltro Cavallini è detenuto, anche se per altri reati.Non scherziamo”
C’è chi ipotizza che il rinvio di questo processo servirebbe a consentire la riunione con il processo per la strage di Bologna che vede Paolo Bellini imputato e che, al momento, pende ancora in primo grado…
“Non voglio neppure immaginarlo perché devo credere nella giustizia. L’articolo 17 del codice di procedura penale statuisce che la riunione dei processi non può determinare ritardi nella loro definizione”.
E in questo caso?
“Nel caso ipotizzato, all’opposto, il ritardo sarebbe addirittura preordinato alla riunione dei processi. Mi sembra francamente troppo anche per una vicenda giudiziaria come quella di Bologna che ci ha abituati negli anni a situazioni singolari. Staremo a vedere. Ma lei ricorda le motivazioni della sentenza di primo grado?”
Certo, a cosa si riferisce, in particolare?
“In primo grado la Corte d’Assise di Bologna ha rifiutato l’esame comparativo del Dna estratto dai residui della maschera facciale ancora senza nome con quello dei familiari delle 7 vittime femminili indicate dai periti esplosivisti assurti, per l’occasione, al ruolo di anatomopatologi, quali possibile possibili proprietarie della stessa. Sarebbero bastate qualche settimana e una spesa modestissima. La Corte, però, scrisse che l’accertamento sarebbe “contrario al principio costituzionale della ragionevole durata del processo di cui all’articolo 111 c.2 Cost.”. E ora cosa si fa? Si congela il processo d’appello per 15 mesi senza neppure mettere per iscritto i motivi?”
A proposito, ha suscitato recentemente molto clamore la nomina del professor Giardina consulente della difesa. Secondo lei verranno effettuati nuovi accertamenti sul Dna della donna misteriosa?
“La difesa di Cavallini ha formulato istanza per esaminare i residui della maschera facciale di troppo. Giardina è un luminare, a mio avviso il più grande esperto italiano. Sicuramente può fornire il ritratto morfologico della donna misteriosa. E forse potrebbe spiegarci anche da dove veniva. L’istanza però è stata rigettata con la possibilità però di riconsiderarla ai fini di eventuali operazioni peritali in contraddittorio, da condurre nell’ormai imminente processo d’appello. Motivazione che in effetti mi appariva corretta. Solo che subito dopo l’imminente processo d’appello è stato rinviato per un anno e tre mesi. Speriamo che i residui della maschera facciale nel frattempo vengano conservati come da norma”.
Lei è convinto che la soluzione dei misteri sulla strage di Bologna si trovi in quei resti?
“Sono convinto che la giustizia debba offrire una spiegazione convincente sia della mancanza, nella scena del crimine, di un cadavere innocente in meno, quello della povera Maria Fresu, sia della presenza della già menzionata maschera facciale in più. Anche perché la proprietaria di quest’ultima, lo scrivono gli stessi periti esplosivisti d’ufficio, era talmente vicina alla valigia con l’esplosivo d’avercela accanto. Sinceramente le giustificazioni fornite sino a ora producono, agli occhi di quanti conoscono gli atti, l’effetto di aumentare in modo esponenziale le perplessità anziché dirimerle. Vero che l’opinione pubblica non è in grado di capire la portata devastante della questione. Ma sono in molti ormai quelli che non vogliono far finta che sia davvero tutto a posto. Proprio qualche giorno fa Laura Fresu, cugina della scomparsa, ha inviatoin un’appassionata intervista un messaggio molto chiaro”.
Cosa non la convince delle spiegazioni ufficiali?
“Per anni è stato giustificato il mancato ritrovamento del cadavere della povera Fresu con la storia fantasiosa della disintegrazione. Oggi sono i periti d’ufficio, e di conseguenza gli stessi giudici, a escludere in modo certo tale bizzarra ipotesi. La nuova spiegazione è che il cadavere si sarebbe scomposto in pezzi, distanziati l’un l’altro dall’opera scriteriata delle scavatrici. Dopo di che i medici dell’epoca avrebbero sparpagliato i singoli resti nelle varie bare. Una di queste, si dovrebbe per forza dedurre, contiene quindi addirittura due crani. E noi dovremmo credere a una storia del genere? Dovremmo accusare i dottori di Bologna, vera eccellenza cittadina, professionisti esemplari in quelle giornate terribili, di essere delle specie di stregoni dell’era mesozoica? Molti di loro sono ancora vivi, provi a intervistarli per conoscere la loro opinione a riguardo. Non ci vorrebbe molto, peraltro, a verificare la singolare ipotesi delle parti anatomiche appartenenti al cadavere della Fresu distribuite a caso nelle varie tombe. E invece i periti d’ufficio, pur accreditandola senza condizionali, asseriscono che tali verifiche non sono più possibili. I motivi di tale asserita impossibilità non stati neppure specificati. Ovvio quindi che gli osservatori più documentati non siano disposti a credere a storie simili. E qualcuno ora inizia a dirlo anche pubblicamente”.
Ma quale sarebbe stata l’utilità di sottrarre volutamente il cadavere della Fresu?
“Rispondo con un dato oggettivo. Se il suo cadavere fosse stato censito, non sarebbe stato possibile attribuire alla povera Fresu, come accaduto erroneamente per 39 anni, la maschera facciale di troppo. Nel 1980, il perito medico-legale della Procura di Bologna lo scrisse in modo chiaro. O imputiamo tale reperto alla donna scomparsa o dobbiamo ammettere l’esistenza di una vittima in più, mai reclamata da nessuno. Detto consulente finì poi per attribuire il “volto” in più alla povera Fresu, nonostante fosse consapevole dell’incompatibilità del gruppo sanguigno. Oggi l’esame del Dna ci fornisce la certezza che quella maschera facciale non apparteneva alla vittima scomparsa. Ma non si tirano le ovvie e obbligate conclusioni. Nella stessa sentenza di primo grado del processo di Bologna viene spiegato in modo ancora più chiaro. Il “volto” non può appartenere a nessuna delle sette vittime indicate dai periti esplosivisti, improvvisatisi per l’occasione anatomopatologi. Per ragioni anagrafiche, per diversità del gruppo sanguigno o per manifesta incompatibilità morfologica. In effetti le vittime censite erano tutte munite di volto. Due al limite lo avevano sfigurato ma ancora attaccato allo scheletro. Ma allora la maschera facciale senza nome a chi apparteneva?”