Telecamere cinesi nelle Procure e a Palazzo Chigi: c’è il rischio che il governo sia spiato da Pechino
Telecamere cinesi a Palazzo Chigi. A parlare del caso dei sistemi di sorveglianza cinesi è stato il sito Wired: “Oltre mille telecamere della multinazionale cinese Hikvision sorvegliano le sale intercettazioni delle Procure italiane. Le ha acquistate il ministero della Giustizia nel 2017 per la messa in sicurezza di quei centri dove sono conservati dati estremamente sensibili. Frutto delle intercettazioni, di cui deve garantire la segretezza”. Si tratta degli stessi sistemi di sorveglianza usati contro la comunità musulmana degli Uiguri.
Telecamere cinesi: interrogazione di Borghi e Sensi
Ora con un’interrogazione i deputati Enrico Borghi e Filippo Sensi (Pd) chiedono se il governo abbia valutato i rischi per la sicurezza nazionale. Se dunque c’è stato il necessario controllo si questi appalti che riguardano settori strategici della pubblica amministrazione. Principalmente la sede del governo e le sale intercettazioni delle procure italiane. In più, secondo Formiche.net, anche «ingressi, entrate e corridoi del ministero della Cultura nell’ufficio centrale dove siede il ministro Dario Franceschini». Si pone con urgenza – sottolinea oggi Libero occupandosi del caso – un problema di revisione delle procedure di controllo.
Telecamere cinesi anche nei campi dei dissidenti uiguri
Il problema, spiegano i due parlamentari, riguarda i sospetti sulla società produttrice, già veicolati da un documento del Parlamento europeo. Nel quale si afferma che «Hikvision è stata accusata di fornire apparecchiature di sorveglianza ai campi di internamento … esiste un rischio inaccettabile che Hikvision, attraverso le sue operazioni nello Xinjiang, contribuisca a gravi violazioni dei diritti umani». Pertanto, quando a Bruxelles e Strasburgo vi è stata l’installazione di apparecchiature della stessa provenienza, subito è arrivato l’invito «a rescindere il contratto con Hikvision. E a rimuovere tutte le telecamere termiche di tale azienda dai locali del Parlamento».
L’acquisizione di dati da remoto è una possibilità
Ma oltre a questa questione ce n’è un’altra non meno grave, anzi fondamentale: chi assicura che la multinazionale cinese non stia trasferendo a Pechino una mole di dati sensibili che riguardano l’Italia? Infatti – sottolineano i due interroganti – «gli apparati dell’azienda cinese poggerebbero su sistemi di tipo cloud, circostanza che, in assenza di opportune misure di sicurezza cyber, esporrebbe i dati al rischio di acquisizione e di analisi da remoto, favorendone il riprocessamento, la gestione e la comunicazione, anche in tempo reale». In pratica, potrebbero registrare le conversazioni del premier Draghi o le riunioni dell’esecutivo.