Toni De Santoli, dalle carte del Tressette alle birre del terzo tempo: il ricordo di un giornalista speciale

7 Nov 2021 14:54 - di Luca Maurelli

La sua Bibbia laica era il “Chitarrella”, il manuale napoletano del Tressette, il gioco di carte e di vita che lo aveva preparato alle grandi sfide nei bar e nelle strade di quel mondo che aveva girato in lungo e largo. Toni De Santoli ci ha lasciati ieri, nel giorno in cui l’Italia teneva testa agli All Blacks per una ventina di interminabili minuti nel gioco che lui amava di più, il rugby, come quella Haka che improvvisava in redazione spaventando qualche collega meno vigoroso al quale si parava davanti mulinando gomiti e gambe.

Toni mi aveva accolto nel mio primo giorno di lavoro al “Secolo allungandomi la sua manona da rugbista e una immancabile sigaretta, un rituale che segnò la mia “adozione” professionale destinata a durare negli anni, fino al suo pensionamento. Un asse tra Firenze e Napoli che lui celebrava tutti i giorni non solo parlandomi del Tressette, delle donne napoletane formose e allegre che aveva conosciuto e amato, di quella leggerezza che non trovava nei suoi concittadini d’adozione, ma sciorinando anche aneddoti formidabili come quello sulle sua vacanze in Costiera amalfitana che tutte le estati trascorreva al sud, da toscanaccio amante del mare: “Tutti i giorni che arrivo sul lido – mi raccontava – dico al bagnino, ‘Porto i saluti della Repubblica marinara di Pisa”, e lui, “Saluti dalla Repubblica di Amalfi!’, facciamo questo scambio davanti a tutti e ci divertiamo come ragazzini…”.

Toni se n’è andato da rugbista che aveva celebrato il suo sport fino alla fine, giocando anche pochi istanti di partite con il suo club, che due anni fa gli aveva tributato una partita alla “memoria in vita”(video), commovente, con il vecchio leader portato in trionfo con l’enfasi dell’addio al calcio di Pelè o di Maradona. Lui, del rugby, amava il rispetto delle regole, la solidarietà tra compagni, il gioco alla mano fatto di sguardi, di intuito, non di forza. Ma di questo sport lui amava soprattutto il terzo tempo, quando alla fine della partita ci si ritrova, con l’avversario, davanti a una birra, come compagni, come fratelli, come gli amati colleghi del giornale.

L’è tutto uno sgangeo”, era la chiosa ai suoi ragionamenti sulla politica, sull’Italia, il calcio, la redazione, la sintesi del caos organizzato nel quale spesso si muoveva con disinvoltura, altre volte con fastidio e allora si rifugiava tra le braccia di sua moglie, “la Giorgina”. Il caos di quel mondo moderno – che osservava come capo degli Esteri, illuminando angoli del pianeta che nell’era pre-Google per tanti erano territori completamente sconosciuti – gli scatenava battute e riflessioni. Con Antonio Pannullo, per anni abbiamo alimentato un archivio di citazioni del nostro amico nella “Desantoleide”, che avevamo attaccato al muro e alla quale abbiamo tante volte attinto per commentare situazioni particolari anche dopo la sua uscita di scena.

“Caro Luca, che piacere! Qua ci si barcamena alla meno peggio nella morsa di questa crisi senza precedenti e dalla quale è la UE stessa che non ci fa uscire. Pia illusione, sì, pensare di uscirne restando nella camicia di forza in ci costringe appunto l’Unione Europea. Vediamo di mangiare presto un boccone insieme!”, è una delle ultime mail che ho ritrovato. Il giorno dopo  eravamo andati a mangiare nella sua amata “Capannina”, in via delle Coppelle, a mezzogiorno, presto, come amava fare, con un buon vino, che voleva scegliere di persona. Mi aveva chiesto un parere su un racconto ambientato a Positano, lui, penna ispiratissima e delicata, era uno dei tanti racconti che amava scrivere, con le donne e l’amicizia sullo sfondo, nei quali infilava sempre un po’ d’America, con la quale aveva un rapporto di odio e amore, come per la politica.

Toni mi ha lasciato tante cose in eredità, nessuna materiale, se non quella prima bozza del mio primo articolo, del mio primo giorno al “Secolo” che autografò come fosse un’opera d’arte e che tuttora conservo. Mi ha insegnato che la vita te le può insegnare solo chi l’ha davvero vissuta, che vale la pena di infilarsi nella “blind side” del rugby, la zona cieca, per tutto ciò che si considera davvero importante, mi ha spiegato che la giacca vera è solo il blazer, che la regimental si indossa anche solo per andare a fare la spesa, che sul petto della giacca va cucito un distintivo nobile o sportivo (come feci poi al mio matrimonio), che una figlia femmina nella vita di un uomo ha il valore inestimabile di un asso di bastoni a Tressette, che “siam tutti d’una razza, quella umana!”, alla faccia dei razzismi e dei pregiudizi. E che nella vita esiste sempre un terzo tempo da giocare, fino all’ultimo, prima che la birra finisca e arrivi il fischio finale.

 

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