Vitamina D, ecco cosa si rischia se è carente e come incrementarla. Uno studio svela il ruolo del probiotico

13 Nov 2021 19:47 - di Mia Fenice
vitamina D

Una carenza di vitamina D sottodiagnosticata può favorire una maggiore suscettibilità alle infezioni, anche virali. Le donne in gravidanza e in menopausa, i bambini e gli adulti obesi e le persone che si astengono dall’esposizione diretta al sole sono i più a rischio. Tuttavia, «l’assorbimento e la biodisponibilità della vitamina D potrebbero essere incrementati se l’assunzione della vitamina è associata a quella di un probiotico. Questo però non vale per tutti i probiotici: in uno studio in vitro le cellule del Lacticaseibacillus paracasei Dg hanno mostrato una capacità significativamente maggiore, rispetto agli altri ceppi testati, di solubilizzare il colecalciferolo nella fase acquosa».

Lo studio italiano

E poi ancora. «In base ai risultati di questo esperimento, L. paracasei Dg* è stato selezionato per l’esperimento di biodisponibilità della vitamina D in vivo in un modello murino. Somministrato in associazione alla vitamina D3 una volta al giorno per una settimana ha determinato un aumento di circa il 50% rispetto al gruppo di controllo della concentrazione sierica». Lo afferma all’Adnkronos Salute Simone Guglielmetti, professore di Microbiologia nel Dipartimento di Scienze per gli alimenti, la nutrizione e l’ambiente all’Università degli Studi di Milano e co-autore dello studio italiano, condotto dalle Università di Padova e di Milano e pubblicato recentemente dalla rivista Annals of Microbiology.

Vitamina D, ecco che cosa succede se è carente

Guglielmetti aggiunge, in merito alla carenza che «può portare al malfunzionamento del sistema immunitario, inducendo una maggiore suscettibilità alle infezioni, che in epoca Covid è particolarmente rilevante. Inoltre, la vitamina D è fondamentale per mantenere la salute delle ossa. L’integrazione della dieta con alimenti “rinforzati” e integratori a base di vitamina D sembra possa apportare un beneficio in diversi ambiti tra cui la prevenzione delle fratture nelle donne anziane, la riduzione di diabete gestazionale, il basso peso alla nascita e la preeclampsia in gravidanza».

La conferma che l’assorbimento della vitamina D rappresenti un problema arriva dall’ultimo dossier Aifa, dal titolo L’uso dei farmaci nella popolazione anziana in Italia, secondo il quale il colecalciferolo è la molecola più utilizzata: circa 4 donne su 10 ne hanno ricevuto almeno una dose nel corso del 2019, con un valore del 41,7% nella fascia di età compresa tra 70 e 74 anni.

Come migliorare l’assorbimento della vitamina D

«Da qui l’idea dello studio – sottolinea Guglielmetti – per migliorare l’assorbimento di vitamina D, partendo dall’assunto che la stessa è liposolubile. E dato che i batteri lattici possono avere proprietà biosurfattanti, cioè tensioattive e che contribuiscono all’emulsione, abbiamo testato in vitro sei ceppi batterici appartenenti alla famiglia delle Lactobacillaceae per verificare se potessero migliorare la biodisponibilità della vitamina D. Lavorando sui lattobacilli ci siamo concentrati sui batteri lattici presenti nei prodotti probiotici in commercio. In particolare, una delle specie più utilizzate oggi si chiama Lacticaseibacillus paracasei che comprende vari ceppi: dal probiotico Shirota al L. paracasei Dg*, quest’ultimo il protagonista della ricerca».

Il batterio probiotico

Durante lo studio, gruppi di topi sono stati trattati con il batterio probiotico L. paracasei Dg* (che in vitro aveva mostrato la maggiore capacità di solubilizzare la vitamina D3), con la vitamina D e con la vitamina D unitamente al batterio, “in due condizioni – ancora Guglielmetti – singola dose o con una somministrazione per una settimana. Il risultato è andato oltre le più rosee aspettative: dopo una settimana di somministrazione giornaliera in associazione alla vitamina D3, abbiamo registrato un aumento del 50% rispetto al gruppo di controllo della concentrazione sierica di vitamina D. Questo risultato è in accordo con l’ipotesi iniziale secondo cui la capacità emulsionante del batterio probiotico può essere tale da favorire l’assorbimento e quindi la biodisponibilità di vitamina D».

Ripetere lo studio sull’uomo

Prossimo passo ripetere lo stesso studio sull’uomo. «Se le conclusioni dello studio murino sugli umani fossero ugualmente positive, in futuro si potrebbe consigliare di associare alla vitamina D il probiotico L.paracasei Dg*, il quale apporta anche benefici a livello intestinale soprattutto per quelle categorie che hanno necessità di integrazione costante della vitamina. Si tratta di un batterio probiotico già noto, un integratore alimentare che non porta con sé nessun effetto negativo, in accordo con l’Autorità europea di sicurezza alimentare (Efsa) e con le linee guida del ministero della Salute in materia di probiotici», conclude Guglielmetti.

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