Dal gender a scuola ai sindaci arcobaleno: così la sinistra vuole imporre dal basso il ddl Zan
Dai Comuni alle scuole, la propaganda gender se ne infischia della bocciatura in Parlamento del ddl Zan e trova forma surrettizie per affermarsi. Si tratta di iniziative che possono apparire più o meno isolate, ma che poi delineano un quadro ben preciso, come in quel gioco di enigmistica in cui bisogna collegare i puntini per ricostruire il disegno. Due esempi si rintracciano oggi nelle cronache, dove è Il Giornale ad alzare il velo sui Comuni Re.a.dy, ovvero aderenti alla Rete Nazionale delle Pubbliche Amministrazioni Anti Discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere, e La Verità a riferire il caso di un’assemblea d’istituto a Chiavari che ha tutto l’aspetto di una applicazione dell’articolo 7 della legge Zan, quello che portava l’ideologia gender direttamente nelle scuole.
Le amministrazioni di centrosinistra ci provano con Re.a.dy
Si dirà: iniziative dal basso, che dimostrano che «il Paese lo vuole». In realtà, come in tutta la vicenda del ddl Zan, anche qui sembra proprio che a volerlo siano solo alcuni, incuranti dell’opinione e delle proteste degli altri. Per i Comuni Re.a.dy, Il Giornale ricorda il caso di Cesena, dove si sono create accese polemiche, con la Diocesi in prima fila a denunciare il «fatto grave verificatosi nella città, passato sotto silenzio, le cui conseguenze sono attuali e lo saranno anche in futuro». Quali siano le premesse della rete, che va alla grande fra le amministrazioni di centrosinistra, lo si evince dalle circostanze in cui è nata: nel 2006, «nell’ambito del Pride nazionale». L’obiettivo è creare «uno spazio di condivisione e interscambio di buone prassi finalizzate alla tutela dei Diritti Umani delle persone Lgbt e alla promozione di una cultura sociale del rispetto e della valorizzazione delle differenze».
Quelle formule che fanno tanto ddl Zan
Insomma, una formula buona per parlare di progetto contro le discriminazioni, ma che, come il ddl Zan, nelle pieghe nasconde gli spazi per l’indottrinamento e altre forme di esclusione. Fra le ipotesi di intervento, infatti, si annoverano «azioni di informazione e sensibilizzazione pubblica rivolta a tutta la popolazione», «azioni informative e formative rivolte al personale dipendente degli Enti partecipanti» e «azioni informative e formative rivolte al personale impegnato in campo educativo, scolastico, socio-assistenziale e sanitario». «Lecito chiedersi se con la formula “tutta la popolazione” si intendono anche i bambini», scrive Il Giornale, facendo riferimento anche alle «azioni informative e formative» rivolte al mondo della scuola.
L’assemblea diventa una lezione di gender a scuola
E, a proposito di scuola, è La Verità a chiarire attraverso il caso di Chiavari di fronte a quale scenario ci si può trovare. Al liceo Marconi Delpino, infatti, nella mattinata di oggi si parla di «educazione sessuale», «genere oltre il binarismo», «fluidità di genere», «transizione di genere» ed «effetti psicologi e sociali». Tutti argomenti che è lecito affrontare e che, anzi, può avere senso affrontare, purché siano un’occasione di riflessione equilibrata e orientata al confronto. Circostanza che, a giudicare dal profilo dei relatori, non sembra ravvisarsi in questo caso. Secondo quanto ricostruito da Giuliano Guzzo, che firma l’articolo, infatti, tutti i relatori appaiono impostati a favore del gender, facendo venire meno quel prerequisito di pluralità delle visioni che dovrebbe affermarsi in modo particolare all’interno della scuola.
Le proteste degli studenti che chiedono pluralismo
E, infatti, anche intorno a questa iniziativa si sono sollevate proteste di alunni e famiglie che lamentavano l’impostazione monolitica dell’incontro e che si sono rivolti ai consiglieri comunali della vicina Sestri Levante, Albino Armanino e Paolo Smeraldi, per chiedere sostegno alla loro richiesta di un confronto più articolato. «A fronte di comprensibili esigenze formative dei ragazzi in materia di educazione sessuale, sarebbe stato preferibile che la dirigente scolastica coinvolgesse Asl4 che dispone
di personale appositamente formato, piuttosto che ad un collettivo sconosciuto sul territorio, al
quale afferiscono professionalità diverse», hanno rilevato i due consiglieri comunali, sottolineando che
«questo modo di affrontare temi complessi e divisivi rischia di essere poco rispettoso delle
diverse sensibilità degli studenti, in gran parte minorenni e delle loro famiglie».
Le indicazioni per le scuole non sono quelle del ddl Zan
Dunque, non una richiesta di censura, ma una richiesta di evitare prevaricazioni. Anche perché, mentre il ddl Zan è rimasto lettera morta, per le scuole, come ricordato dal sottosegretario all’Istruzione Rossano Sasso a La Verità, vale quanto previsto dalla circolare del ministero dell’Istruzione 1972 del 2015, per altro emanata durante un governo di centrosinistra. Ovvero che «tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere» in ambito scolastico non «rientrano in nessun modo né “ideologie gender“ né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo».