Draghi bifronte: enfatizza il Parlamento e poi lo costringe a ingoiare la fiducia sulla manovra
Tutto dipende dal Parlamento – il futuro del governo, la successione al Quirinale, la lotta alla pandemia – tranne che la legge di bilancio. Basta aver ascoltato la conferenza stampa di Mario Draghi e confrontarla con il calendario del Senato per rendersene conto. Tanti elogi alle Camere davanti ai giornalisti e un implicito “prendere o lasciare” gettato come un osso davanti ai senatori che dopodomani – vigilia di Natale – daranno disco verde alla manovra finanziaria con fiducia incorporata. Come a dire che non la guarderanno neppure. L’approveranno in blocco alla Cetto Laqualunque, quello del sequel: “Tutto tutto niente niente“. Draghi, che si è definito un «nonno al servizio delle istituzioni», in realtà sta trattando il Parlamento come quei vecchi zii che seppelliamo di complimenti, ma senza poi starli a sentire quando parlano.
Draghi si fa forte di una maggioranza senza precedenti
Perché dovrebbe, del resto, visto che è seduto sulla più ampia maggioranza di sempre. Per un residuo riguardo verso l’opposizione, che di fatto coincide con la destra di Fratelli d’Italia? Suvvia, sono scrupoli ottocenteschi, decisamente fuori moda, in ogni caso incompatibili con il logorio della vita moderna. E allora avanti con la cortina fumogena del Parlamento superstar giusto per occultare il calcio nel sedere che ha appena rifilato ai suoi distratti abitanti. Fortuna per Draghi che imputati di indulgenza verso il “pericoloso rigurgito” siano sempre i soliti noti. Fateci caso: le sentinelle della democrazia prendono sonno sempre quando occorrerebbe rafforzare la vigilanza.
Le assemblee nacquero per controllare le spese dei sovrani
Già, viviamo tempi ambigui e sfuggenti. Diversi da quelli in cui il disprezzo per le onorevoli liturgie il Puzzone poteva permettersi di spiattellarlo (do you remember «quest’Aula sorda e grigia…?») fin dentro il Sancta sanctorum della democrazia. Sì, certo, esageriamo. Ma volutamente. E solo per sottolineare che ha poco senso (se non quello della presa in giro) enfatizzare il ruolo del Parlamento se poi gli si sottrae potere sulla legge di bilancio. Non fosse altro perché fu proprio per controllare le spese dei sovrani che nacquero le assemblee elettive. Draghi lo sa fin troppo bene. Il pericolo non è lui, ma fare il callo all’opportunismo dei suoi plauditores, agli standing ovation della stampa e alle investiture confindustriali da «Uomo della necessità». Con il rischio di accorgerci troppo tardi se gli elogi al Parlamento si sono nel frattempo trasformati in un’elegia funebre.