“Giudici divoratori di doni”: rileggere Esiodo per capire i mali della giustizia
Periodicamente si riapre in Italia il dibattito sulla giustizia: scoppiano scandali, divampano polemiche, di volta in volta il ruolo della magistratura viene contestato o esaltato. Ma da questo schema sono ormai state espulse tutte le domande fondamentali. Per comprendere il problema della giustizia e della sua amministrazione occorre invece tornare alle radici, alla riflessione sul senso del diritto nella società.
Ritorno alla “culla” della nostra civiltà
Ne è convinto Fabrizio Di Marzio, che nel saggio ‘Giudici divoratori di doni – Esiodo, alle origini del diritto’, edito da Mondadori, spiega come nel pensiero delle origini il diritto nasce nella culla della giustizia; ma sin da allora cresce nel dubbio che il suo farsi non corrisponda a giustizia. Se infatti la regola di diritto è stabilita da Zeus, e corrisponde alla giustizia divina, la sua amministrazione spetta agli uomini: ai giudici, accusati già nel lontano passato di fallire nel compito e di essere “divoratori di doni”.
Il libro di Fabrizio Di Marzio
E’ nel poema in esametri “Le opere e i giorni” del grande poeta greco che si trova questa sentenza severa sui giudici. Fabrizio Di Marzio rilegge in questa chiave l’opera di Esiodo, poeta greco che fu il primo in Occidente ad affrontare il tema del rapporto tra giustizia della natura; ovvero necessità che ingloba il vivente nel suo destino; e giustizia umana, unica possibile contrapposizione a tale necessità. Ogni domanda sulla giustizia e sui giudici implica allora domande sull’uomo e su quale sia il suo posto nella realtà. Per Di Marzio, riflettere sulla giustizia, sul diritto e sui giudici è dunque un ritornare sui nostri passi; per imparare a diffidare del nostro stesso giudizio quando ci sfugge di bocca e condanniamo i giudici, gli imputati, gli altri che incontriamo o di cui sentiamo parlare, condotti tutti alla sbarra del nostro personale tribunale.