Patrick Zaki, il prezzo della libertà: «Sul caso Regeni l’Egitto non concederà nulla»
La notizia delle liberazione di Patrick Zaki non porta con sé solo gioia. Molti osservatori, infatti, mettono il relazione il passo compiuto dal Cairo con la «libertà cautelare» dello studente egiziano con il processo per l’omicidio di Giulio Regeni, nel quale sono imputati quattro funzionari dei servizi segreti egiziani. Il timore è che la scarcerazione dell’uno possa rappresentare una sorta di contropartita per la reticenza sulla morte dell’altro. E che, nella difficile partita diplomatica che si gioca intorno alla sorte dei due giovani, l’Italia e lo stesso Zaki debbano anche pagare un prezzo del silenzio rispetto alle accuse e alle modalità della detenzione del ragazzo.
Il prezzo del silenzio per la liberazione di Patrick Zaki
Si tratta di uno scenario tornato più volte nelle cronache di questi giorni, senza comunque nulla togliere alla soddisfazione e alla consolazione di sapere che Zaki è potuto finalmente uscire dal carcere dopo 22 mesi di detenzione. Oggi a tornarci è stato Fausto Biloslavo sul Giornale, con un articolo intitolato «Zaki, la libertà pagata a caro prezzo. In cambio silenzio e lo stop su Regeni». Nell’articolo Biloslavo nota come le accuse contro Patrick Zaki di «diffusione di notizie false» e istigazione al «crimine terroristico» restino ancora in piedi e come, in vista della prossima udienza fissata per il 1° febbraio, sia indispensabile evitare passi falsi, anche sul fronte della comunicazione. Non a caso, lo stesso Zaki, in queste ore di felicità si è limitato di fatto ai ringraziamenti, senza entrare nel merito del trattamento subito nelle fasi dell’arresto e della carcerazione.
Il rischio di passi falsi
«Una parola in più potrebbe costargli caro, ma non tutti in Italia vogliono rendersi conto della realtà egiziana. I rinnovati appelli da sinistra sulla cittadinanza auspicata dal Parlamento rendono la libertà di Zaki sempre più provvisoria», scrive Bilosvavo, sottolineando che «sul fronte del caso Regeni l’attesa scarcerazione dello studente che frequentava l’università di Bologna rischia di favorire lo stallo» e ricordando che il processo langue in attesa che si scopra il domicilio dei quattro imputati e quindi che si possano notificare gli atti dell’inchiesta.
Quel «gioco di pesi e contrappesi» con la vicenda di Regeni
Di un «gioco di pesi e contrappesi» tra le vicende dei due studenti aveva parlato anche Giuseppe Scarpa sul Messaggero, un paio di giorni fa. Nel caso Zaki «la parabola giudiziaria italiana, il processo ai torturatori egiziani di Regeni, ha avuto un peso. Il procedimento al tribunale di Roma si è incagliato (a metà ottobre) e forse si concluderà con un nulla di fatto nonostante la procura abbia fatto di tutto per portare alla sbarra gli assassini», si leggeva nel pezzo, che chiudeva il ragionamento spiegando che «ecco, allora, che in un gioco di pesi e contrappesi, l’Egitto concede qualcosa a Roma».
La fonte egiziana: «Su Regeni non cederanno un passo»
Oltre alla analisi, però, ci sono anche le indiscrezioni, le voci raccolte, le testimonianze su quali possano essere gli intendimenti del Cairo. Quella di Zaki «è una storia che riguarda voi stranieri, non noi egiziani», ha detto all’invita di Repubblica, Francesca Caferri, “una fonte egiziana che chiede di non essere identificata”. «Il governo la sta usando per cercare di appianare i rapporti con l’Italia dopo la vicenda di Giulio Regeni. Non cederanno di un passo su quello. Ma su questo possono concedervi un’apertura, in modo da diminuire la pressione», ha proseguito ancora la stessa fonte, secondo la quale «Al Sisi ha bisogno di legittimazione. E i casi in cui sono coinvolte persone che in qualche modo hanno legami con l’estero sono i primi di cui sta cercando di sbarazzarsi». Magari con un occhio a quel gioco di «pesi e contrappesi» nel quale Giulio Regeni resta sull’altro piatto della bilancia.