Romanzo Quirinale, quel che il centrodestra (ancora) non dice in attesa del vertice di domani
Si parlerà anche di Quirinale al vertice che il centrodestra terrà domani a Villa Grande, dimora romana di Silvio Berlusconi. Era nelle cose, ma ad ufficializzare le previsioni della vigilia ha provveduto una dichiarazione di Giorgia Meloni. Difficile però immaginare che i tre leader (con Matteo Salvini) scioglieranno positivamente il nodo della candidatura del Cavaliere. Lo sconsigliano ragioni tattiche e obiettivi strategici. L’ex-premier si muove da candidato, ma non ha mai detto di esserlo. Non vuol essere lui a fare ufficialmente la prima mossa, ma lascia briglia sciolta a chi lo dà per certo in campo per successione a Mattarella. Un’ambiguità che gli serve per valutare l’effetto che fa, conservando nel contempo piena libertà di movimento.
Domani incontro Meloni-Salvini-Berlusconi
È perciò probabile che il vertice di domani, oltre a misurare le reali chances di Berlusconi di salire al Quirinale, servirà soprattutto a inquadrare gli scenari del dopo, con riferimento al futuro del centrodestra e a quello della legislatura. Il secondo punto è più decisivo del primo. Se infatti, è fin troppo evidente che la coalizione sosterrà il suo Fondatore, lo è altrettanto che lo farà a ragion veduta e quindi in presenza di reali possibilità di successo. E queste dipendono soprattutto dall’aspirante presidente. Sul futuro della legislatura, invece, la situazione è meno scontata e rischia di risentire della diversa collocazione di FdI, Lega e FI rispetto al governo Draghi.
Quirinale, sfida decisiva per la coalizione
E, di conseguenza, delle diverse aspettative riposte da Meloni e Salvini (da possibile candidato, Berlusconi è fuori concorso) nello snodo del Quirinale. A differenza del suo omologo leghista, infatti, la leader di FdI spera nel voto anticipato. Paradossalmente potrebbe ottenerlo più dall’elezione (a stretta maggioranza) del Cavaliere che da quella (larga) di Draghi. È persino scontato che se il leader di Forza Italia la spuntasse al quarto scrutinio, il governo di (quasi) unità nazionale si squaglierebbe un secondo dopo. Vero, le urne non sarebbero scontate. Ma la caduta dell’esecutivo sì. E Draghi, oggi stretto tra chi vuole inchiodarlo a Palazzo Chigi e chi vorrebbe spedirlo al Quirinale, finirebbe per uscire dal primo senza entrare nel secondo. Sogno, incubo o realtà, si vedrà. Di certo, per ognuno degli scenari occorrerà un centrodestra davvero unito.