Concordia, il ricordo dei vigili del fuoco: vivi per miracolo dentro quella nave che affondava

13 Gen 2022 14:06 - di Redazione

A dieci anni dal drammatico naufragio della Costa Concordia esce ‘Apnea-Costa Concordia, otto vigili del fuoco e l’impresa mai raccontata‘, il libro scritto a quattro mani da Luca Cari, responsabile della comunicazione in emergenza del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, e Virginia Piccolillo, giornalista del ‘Corriere della Sera‘, edito da Mondadori.

Nel libro, per la prima volta, otto pompieri, Sandro Scoccia, Roberto Trapassi, Sergio Bronchini, Alberto Falciani, Giuseppe Bartalotta, Andrea Bardi, Massimiliano Bennati, Stefano Bartolommei e il loro comandante Ennio Aquilino, che salirono a bordo della Costa Concordia mentre imbarcava acqua dopo quell’” inchino” che l’aveva mandata a sbattere contro gli scogli della Scolca, a soli novanta metri dall’isola del Giglio, svelano cosa è successo veramente dentro la pancia della nave.

Oggi l’isola del Giglio ha ricordato con una commemorazione le 32 vittime del naufragio della Costa Concordia quando, il 13 gennaio 2012, alle ore 21:45:07, la nave da crociera, comandata da Francesco Schettino, successivamente condannato a 16 anni di reclusione, impattò contro gli scogli della Scolca.

Ma quel che resta più vivo, assieme alla tragedia delle povere vittime, è l’abnegazione, il coraggio, il senso del dovere di chi, quella notte, e poi nei giorni, nelle settimane e nei mesi successivi, lottò non solo per salvare  i passeggeri e l’equipaggio, ma anche per scongiurare un disastro ambientale. E per consentire di raddrizzare la Concordia e portarla via da lì, dall’isola del Giglio.

“I gigliesi quella notte fecero l’impossibile. Aprirono la palestra, la scuola, la chiesa, le loro case, per dare a tutti un posto caldo dove stare. Ospitarono i bambini nei loro letti: fu un intervento umano incredibile“, ricorda la scrittrice Sabrina Grementieri ai microfoni di RaiNews24, nel decennale della tragedia della Costa Concordia.

“Il vicesindaco Pellegrini – aggiunge Grementieri – fu uno dei primi a salire a bordo e a prestare soccorso. Fu colpito soprattutto dato bambini, dai loro occhi sgranati e impauriti“.

Ma, accanto ai gigliesi, arrivarono i vigili del fuoco e altri soccorritori. E fu una gara di solidarietà attorno alla Costa Concordia.

Eccole, dunque, le voci dei pompieri, ricordati con i loro soprannomi, a ripercorrere quei momenti durissimi e interminabili.

Tra i tanti salvataggi “Bartolo” racconta quello di tre naufraghi, ”una signora portatrice di handicap, una signora anziana e piuttosto in carne” ed Elena, un membro dell’equipaggio.

”Devo capire come fare per portarle di sopra – racconta – Il sistema lo trovo da pompiere, ossia arrangiandomi. Vedo poco distante un cancelletto in metallo. Uno di quelli che stanno nei giardini. Lo scardino, lo giro in maniera che la griglia formi dei pioli e lo lego a una cima. Faccio salire la prima signora”.

Un salvataggio eseguito da solo. ”Sono ancora solo – ricorda Bartolo – Non vedo gli altri. Una cosa che mi toglie il respiro”.

Ma mentre Bartolo sta per portare in salvo l’ultima del gruppo guarda su e vede i suoi compagni. ”Per primo Bronco, poi Lallo, Beppe. Eccoli – racconta – Non sono più solo. Mi sento rincuorato dalla loro presenza. Mi aiutano nell’ultimo tratto fino alla murata. Ma non è solo questo, il loro aiuto è anche psicologico. Siamo pochi ma siamo una squadra”.

”La nave si sta muovendo – è il racconto di Trap – Dopo essersi ribaltata quasi completamente ha trovato il fondale che digrada. E ora ci sta scivolando sopra, muovendosi verso il baratro di settanta metri che c’è più in là. Che ci porterà a fondo con lei è una certezza. Sento gli scatti che fa accompagnati da rumori di lamiera e scossoni che mi buttano a terra. Si muove e ci tiene a farmelo sapere. Magari mi sta avvisando di scappare. No. Vuole solo farmi paura. Ci riesce. Ma ho davanti ai miei occhi questi due ragazzi ed evito di pensarci. Devo occuparmi di loro. Senza perdere tempo”.

”C’è ancora gente che grida di sotto – ricorda il comandante – Tanta. Troppa da gestire per un’evacuazione complessa com’è questa. Regna il panico, tutti cercano la salvezza e appena ci vedono la reclamano all’unisono. Ma siamo pochi. La Concordia è grande come una città. Ci muoviamo in un ambiente ostile e sconosciuto, dove sarebbe facile perdersi pure in condizioni normali e con la luce. Anche così non troveresti mai il bar o la sala massaggi o il cinema senza chiedere o seguire le indicazioni dei cartelli. E adesso che è tutto sottosopraimpossibile orientarsi. Ma come si fa a svuotare una nave da crociera senza avere a disposizione una mappa?”.

”Con Lallo e Bronco ci muoviamo nel buio – ricorda Beppe – Le lampade che abbiamo sul caschetto non illuminano quanto servirebbe eppure quanto basta per farci trovare un gruppo di naufraghi. Stanno l’uno accanto all’altro. Ammucchiati non so se per il freddo o per farsi coraggio. ‘Siamo vigili del fuoco!’ gli urlo per rassicurarli. Di solito funziona. La nostra presenza è un toccasana per chi è in pericolo. Ma stavolta niente. Manco un fiato. Neppure una mossa. Sono imbambolati, pare quasi che siano in trance. Il sussulto della nave che scivola verso il fondo mi dà una svegliata. Non si può andare per il sottile qua. «Forza!» urlo con tutto il fiato che ho nei polmoni. E sento anche gli altri fare lo stesso. La nave dà un altro scossone. Più forte di prima. Accompagnato da un rumore di lamiere che si accartocciano e di vetri che si rompono. Ci fermiamo. Ci guardiamo per un attimo negli occhi. Andiamo avanti. Ma la sensazione è che stiamo affondando. Abbraccio due delle donne che ho vicino e comincio con loro. Non c’è tempo da perdere”.

”Mantengo costante e sotto controllo il livello della paura – racconta ancora Trap in un altro passaggio del libro – Non troppa da bloccarmi, neppure troppo poca da rendermi avventato. Comunque ce l’ho. Anche gli altri. Dopo il Com sono il più alto in grado e i colleghi a uno a uno vengono da me a dirmi: ‘Si sta andando a fondo‘. ‘Te ne sei accorto che di qui non si esce? Che si fa?’ Già: che si fa? È una domanda con una sola risposta. Molesta. Perché finché c’è gente che chiede aiuto si va avanti. Ma ce n’è tanta. Troppa. Dobbiamo tirarla fuori. Presto. Mantengo la paura al livello di sicurezza e vado avanti”.

”Sono bloccati nel fondo della cabina – è uno stralcio del racconto di Lallo – Il solito pozzo. Mi ricordano quella volta che recuperammo da un anfratto profondo un cane da caccia. Era caduto dentro e non riusciva a tirarsi fuori. Aveva gli occhi pieni di paura. La stessa che vedo adesso in questi due signori. Li illumino e la riconosco. È quella dell’animale in trappola consapevole di stare per morire. Lo sente per istinto”.

E infine dopo aver portato in salvo moglie e marito Lallo ricorda: ”Sul ponte capisco che anche questo salvataggio è fatto e lancio un urlo d’animale come fece quel cane quando lo tirai fuori. Il mio istinto ha preso il sopravvento sulla ragione. Ma non del tutto: l’urlo è rimasto dentro di me, nessuno l’ha sentito. Eppure era forte”.

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