
Djokovic torna a Belgrado, gli Australian open iniziano senza il numero uno al mondo
Ha fatto solo una sosta all’aeroporto internazionale di Dubai per poi ripartire alla volta di Belgrado, Novak Djokovic che ha lasciato ieri l’Australia alle 22:51 ora locale (le 12:51 in Italia) su un volo da Melbourne diretto negli Emirati dopo essere stato espulso dal governo in seguito alla sentenza della Corte federale australiana. Che ha respinto la richiesta di appello contro la cancellazione del visto, della star mondiale del tennis maschile non vaccinata.
Una scelta che l’atleta, fotografato a Dubai mentre si accomoda nell’aereo che lo sta portando in Serbia, ha spiegato prima a voce e, poi, due giorni fa, in un lunghissimo post sul suo profilo Instagram nel quale dice di voler “affrontare la disinformazione continua” sul suo conto ricostruendo dettagliatamente tutte le fasi della vicenda che, per 11 giorni lo ha contrapposto, in un lungo braccio di ferro, al governo australiano.
Aldilá della sua dichiarata e mai nascosta opposizione ai vaccini, ha spiegato di essere sbarcato in Australia senza vaccino poiché è stato contagiato ed è poi guarito. E, quindi, come prevedono tutte le normative, non è necessario che si vaccini per un certo numero di mesi poiché con il contagio ha acquisito gli anticorpi necessari.
I giornalisti hanno così ricostruito i giorni precedenti scoprendo che, in effetti, il 18 dicembre, giorno in cui sarebbe stato positivo, Djokovic aveva rilasciato un’intervista all’Esquire.
Il tennista ha spiegato di aver derogato alla quarantena per non deludere il giornalista dell’Esquire che gli aveva chiesto l’intervista e di aver, comunque, rispettato tutte le misure di distanziamento sociale utilizzando sempre anche la mascherina, a parte il momento in cui è stato necessario fare la foto.
Ma il governo australiano si è sentito comunque ingannato. E ora c’è chi sospetta che il tennista abbia mentito anche sulla sua malattia e che avrebbe falsificato il tampone. Sono illazioni, al momento. Ma a questo punto gli accertamenti verrano approfonditi.
E se si scoprisse una cosa del genere Djokovic rischierebbe grosso.
L’Atp per ora è restata a guardare limitandosi ad un comunicato laconico e molto generico sul diritto dei singoli governi a difendere la salute pubblica.
Ma ha già avvertito nei giorni precedenti: in caso di falsificazione del risultato di un tampone, scatterebbe una squalifica di tre anni.
E tre anni di esclusione dal territorio del Paese potrebbero anche essere la “pena” che potrebbe far pagare il governo australiano a Djokovic in seguito alla decisione del ministro dell’Immigrazione, Alex Hawke.
Proprio stamattina la stella del tennis maschile avrebbe dovuto essere sui campi nel match di apertura degli Australian Open a combattere per il decimo titolo. Al suo posto c’era, invece, l’italiano Caruso eliminato al primo turno.
L’azzurro n.146 del mondo, ripescato nel tabellone principale dopo l’esclusione di Djokovic, ha ceduto in 3 set al serbo Miomir Kecmanovic, n.77 del ranking, col punteggio di 6-4, 6-2, 6-1.