Mastella spazientito dalla melina: “Parlamento afono. Solo Meloni si smarca col voto a Crosetto”
La melina dei grandi elettori indispettisce Clemente Mastella, che non si capacita di una quarta fumata nera e, prima sbotta e dichiara: «Questo Parlamento, lo dice la parola stessa, dovrebbe parlare… e invece è afono…». Poi, si augura che «si arrivi presto a un nome condiviso per il Colle. E, soprattutto, spera che domani si voti in Aula. «Astensione, scheda bianca, ma di che parliamo?», tuona il politico di lungo corso, oggi sindaco di Benevento. Che, intercettato dall’Adnkronos a Montecitorio mentre è ancora in corso lo spoglio della quarta votazione per il Quirinale – ma è già chiaro come andrà finire – mostra i primi segni di impazienza e sconforto.
Quirinale, Mastella non si capacita della melina sul voto
E allora, per esempio, l’ex Guardasigilli, anzi: “Mastellik”, come si è autodefinito a suo tempo quando faceva scouting parlamentare, condivide la scelta di Giorgia Meloni che ieri si è smarcata, chiedendo ai suoi di votare la “bandiera” Guido Crosetto al posto della scheda “bianca”. «Non si può restare afoni», insiste non a caso l’ex esponente Dc. E da “navigato” politico e conoscitore delle insidie e trappole dello scrutinio segreto, fa il tifo per un altro ex parlamentare della vecchia Balena Bianca: Pier Ferdinando Casini, oggi tra i “Quirinabili”. «Non lavoro per Casini, ma lui ha obiettivamente tutte le qualità per essere eletto», torna a ribadire Mastella col suo endorsement all’ex collega di partito. E ancora: «Ma cavolo, se non è super partes lui, chi lo è?».
«Solo la Meloni si è sbarcata chiedendo di votare Crosetto al posto della scheda bianca»…
Mastella si appella quindi a Matteo Salvini e insiste: «Casini, lo ripeto, ha tutti i requisiti…». La Belloni? «È una personalità di tutto rispetto. Andava bene fino a quando era segretario generale della Farnesina, ma ora no…», taglia corto l’ex ministro della Giustizia del governo Prodi. Che poi, esortando su tempistiche e modalità della votazione, incalza destra e sinistra perché quaglino. E, soprattutto, parlino. Non solo nei vertici dietro le quinte. Ma con le votazioni in Aula.