«Casini è stato silurato da Draghi nella corsa al Quirinale». Spunta il “patto della cioccolata calda”
Dietro il Mattarella bis ci sarebbe il “patto della cioccolata calda”, siglato dal premier Draghi con i vertici della Lega. Il sapido retroscena, che riporta ai tempi dei vecchi inciuci della vecchia politica, viene raccontato con dovizia di particolari dal Giornale.
Il quotidiano diretto da Augusto Minzolini, uno che sui retroscena della politica ha costruito la sua carriera professionale, fornisce data, luogo e protagonisti del “patto della cioccolata calda”. Sarà destinato a finire come il “patto della crostata” persino sulla Treccani? Solo il tempo potrà dirlo.
«Venerdì 28 gennaio – riporta Il Giornale – in un appartamento di via Veneto, dépendance del ministero per lo Sviluppo Economico, padrone di casa Giancarlo Giorgetti, Mario Draghi ha incontrato Matteo Salvini e – sorseggiando appunto una cioccolata calda – gli ha spiegato perché per lui Casini non poteva andare bene come capo dello Stato. “Un conto è la conferma di Mattarella – gli ha spiegato – un altro è avere un politico sopra di me al Colle”. E il leader della Lega che fino ad allora aveva dato un mezzo assenso su Casini, o, comunque, non aveva detto di «no» a quella candidatura a Silvio Berlusconi, a Matteo Renzi e, addirittura, a qualche esponente del Pd dell’area vicina a Dario Franceschini, ci ha ripensato». Così Casini, con la “colpa” di essere stato eletto in Parlamento e di non essere un tecnico, è stato “silurato”.
Dal patto delle sardine al patto della cioccolata, leghisti sempre protagonisti
Di patti culinari è piena la storia politica degli ultimi anni. Celebre è rimasto nella cronaca culinaria-politologica l’incontro, il 23 dicembre del ’94, nella casa romana di Umberto Bossi all’Eur, tra il segretario leghista e i segretari del Pds e del Ppi, Massimo D’Alema e Rocco Buttiglione. Qui verrà sancito il ‘ribaltone’ (la Lega nord lascerà Forza Italia) con l’appoggio esterno al successivo governo tecnico guidato da Lamberto Dini. E’ il cosiddetto patto delle sardine, chiamato così perché alla richiesta del Senatur se i due ospiti avessero fame, Bossi offrì quello che aveva nel frigorifero in quel momento: sardine in scatola, lattine di birra, di Coca-Cola e pancarré.
Nell’estate dello stesso anno D’Alema e Buttiglione si rividero, ma stavolta per un faccia a faccia, a Gallipoli e al ristorante di pesce ‘il Bastione’ ‘firmarono’ quello che passò alla storia come il ‘patto delle vongole’. I leader dei due partiti dell’opposizione al primo governo Berlusconi, pranzano insieme e alla fine dissero ai giornalisti: ”Pesce, politica, filosofia con brindisi al doppio turno”, riferendosi alla riforma della legge elettorale. Ma l’accordo per antonomasia risale al giugno ’97, quando nel periodo della Bicamerale per le riforme, si sono ritrovati a cena a casa di Gianni Letta i leader dei maggiori partiti: Berlusconi, Gianfranco Fini, D’Alema e Marini. Attorno a una crostata che, secondo una tradizione mai ufficialmente confermata, venne preparata dalla signora Letta come dolce, fu raggiunta un’intesa di non belligeranza tra centrosinistra e centrodestra per avviare le riforme costituzionali che prevedeva un governo di tipo semipresidenziale e una legge elettorale maggioritaria a doppio turno. D’Alema, in particolare, si impegnava a non spingere sulla legge per il conflitto di interessi e il leader azzurro prometteva di proseguire i lavori della Bicamerale fino all’accordo finale.
Nel dicembre ’97 è Fini a definire ‘patto della frittata’ il tentativo di accordo tra Berlusconi e Walter Veltroni sulla legge elettorale, regista dell’operazione, ancora una volta, Gianni Letta. Nell’ottobre del 2010, infatti, va in scena il patto della pajata. Fu quel pranzo a base di polenta, rigatoni con la coda alla vaccinara, cicoria, vino dei Castelli e acqua romana offerto dall’allora sindaco di Roma, Gianni Alemanno, a favorire la riconciliazione con il ministro delle Riforme Bossi dai tempi di ‘Roma Ladrona’. Nel novembre del 2017, è la volta del ‘patto dell’arancino’, che ricompattò, in vista delle politiche, in un ristorante di Catania, Salvini, Meloni, Berlusconi e Lorenzo Cesa. Fin appunto al patto della cioccolata calda. Che, per l’assente Pier Ferdinando Casini, risulterà decisamente amara.