Giovanni Arpino, l’amore per Pola dello scrittore che rifiutò la cittadinanza croata
Come altri personaggi che hanno dato lustro alla comune città natale di Pola, quali Alida Valli, Sergio Endrigo, Laura Antonelli, anche lo scrittore Giovanni Arpino, nativo della città, diede il suo contributo in tal senso. Allo scrittore fu offerta la cittadinanza Croata, cosa che rifiutò, come sarà fatto da Alida Valli. Il legame a una Pola italiana, considerato questo atteggiamento, doveva essere molto forte. Classe 1927, per la precisione del 27 gennaio di quell’anno, lo scrittore seguiva con la famiglia gli spostamenti del padre ufficiale di carriera. Tra le altre cittadine, gli Arpino soggiornarono in centri quali Novi ligure, Saluzzo, Piacenza. Dopo l’otto settembre del 1943, tutta la famiglia Arpino si sposterà a Bra e in un secondo tempo a Torino.Città che diventerà il luogo di residenza definitivo dello scrittore e dove a causa di un brutto male ci lascerà nel dicembre del 1987.
Giovanni Arpino, premi, racconti, romanzi
Arpino fu uno scrittore per così dire “dalla penna forte”. Nell’arco della sua carriera ha firmato sedici romanzi e circa duecento racconti. Vinse svariati e prestigiosi premi quali lo “Strega” con “L’ombra delle colline” nel 1964 e il Campiello nel 1972 con “Il randagio e l’eroe”. Nel 1980 conseguì anche il Super Campiello con “Il fratello italiano”. Scritti di Arpino, furono spunto per trasposizioni cinematografiche in film di grande successo quali “Divorzio all’ italiana” diretto da Pietro Germi, “Profumo di donna” che nella versione italiana ebbe come protagonista Vittorio Gassman. Successivamente, vi fu un’edizione americana con Al Pacino. Interpretazione, che valse all’attore statunitense, l’unico Oscar della sua carriera.
Arpino e Torino
L’opera e la fantasia dell’autore, si snoda e si alimenta di consuetudini, anzi per meglio dire, di quelle che per gli abitanti di città del Nord Italia quali Milano, Trieste, o la Torino stessa, costituiscono delle vere e proprie istituzioni. Ci riferiamo ai Caffè, punto di aggregazione e snodo della vita sociale. Notti inoltrate consumate, tra partite a carte, a biliardo. L’ultima chiacchiera e il “bicchiere della staffa”, con gli amici tiratardi. Atmosfere queste, delle quali era impregnata la vita giovanile del futuro scrittore. Serate trascorse sotto i portici con amici e conoscenti, al riparo da probabili inclemenze del tempo. Momento, questo, quando “la chiacchiera” diventa più intima. Sciolta. Confidenziale .Parametri di giudizio e valutazione, le quali tra le latitudini delle ore della notte profonda si appannano.Vanno a briglie sciolte in temperie di sogno e fantasia.Esperienze delle quali Arpino faceva tesoro.
Trasformando il tutto in propellente per dare articolato sviluppo, graziealla sua pregevole capacità di scrittura, a uno dei suoi numerosi prodotti letterari. D’altronde la socialità da bar, in tutti i suoi risvolti da quelli contrassegnati da una tipica superficialità e approssimazione, ma anche da profonda umanità, l’aveva nel sangue in quanto i nonni gestivano una sala a Torino. I familiari della moglie, a loro volta avevano un Caffè a Bra.Nel 1959, il trentaduenne Arpino, viene posto all’attenzione della critica per quello che viene considerato il suo capolavoro: “La suora giovane”. Nel titolo già s’intravedono le tematiche che verrannosviluppate. La relazione impossibile che nascerà tra un quarantennee una donna che voleva consacrare la vita al Signore.
I capolavori
Arpino nel 1952, grazie a Vittorini, vincendo le perplessità di Italo Calvino, riesce a far pubblicare “Sei stato felice Giovanni”. Flusso di coscienza, che si sgrana tra alterne vicende e sensazioni, che vanno a infiltrarsi tra solitudine, e una condizione di ristrettezze economiche. Contesto, che viene nutritodall’anelito al raggiungimento di una condizione esistenziale più serena del protagonista. Elio Vittorini teneva Arpino in ottima considerazione, tale da indurlo a offrirgli di lavorare nella squadra degli editor della Einaudi. Cosa che in un primo momentol’autore rifiutò per dedicarsi completamente alla scrittura. Progetto esistenziale e professionale, che produsse una mole di lavoro considerevole.Tra le sue opere, oltre i romanzi citati, ricordiamo “Il buio e il male”, “Un delitto d’onore”, “Anima persa”, ”Il randagio e l’eroe”tra gli altri.“Io so chi sono, cosa penso cosa voglio, soltanto quando ho la macchina da scrivere davanti. Scrivere mi dà ordine, serenità, costanza, rimorsi e pentimento, fede”.
Lo sport e la “fede” juventina
Arpino parlava del suo rapporto con la letteratura in questi termini. Indispensabili per dare una cornice di senso all’esistenza. Molti cercarono, di trovare punti di contatto della sua scrittura con altri. Guido Piovene affermò “Non riesco a trovare nemmeno un nome di uno scrittore contemporaneo da mettergli vicino”. L’autore Torinese d’adozione, riusciva a trovare ottime soluzioni narrative per descrivere vicende che lo coinvolgevano prepotentemente come lo Sport in genere e il calcio in particolare. Seguiva, come giornalista sportivo della Stampa e del Guerin Sportivo le varie competizioni della “pelota”, come la chiamava Gianni Brera.
Appariva anche in televisione come commentatore.Occasioni nelle quali aveva modo di confermare al mondo la sua inflessibile fede juventina. Nel 1977, pubblicò “Azzurro tenebra”, analisi retrospettiva dell’infelice prestazione della Nazionale ai Mondiali del 1974 in Germania.Libro nel quale in realtà denunciava le contraddizioni che stavano snaturando l calcio nel suo complesso. Si definiva “Un’anarchico borghese”. In tal modo, desideravaporre all’attenzione dei suoi interlocutori ilcarattere libero e indipendente, che non desiderava far parte di consorterie di sorta. Era un lupo solitario. Dotato di uno spiccato senso dell’umorismo, e di una notevole capacità di affabulazione.
L’amicizia con Montanelli
Non a caso, aveva messo il suo talento a disposizione, anche, del genere della fiaba nella quale trovava spazi di assoluta genuinità creativa. Date queste peculiarità, non disdegnava certo di andare controcorrente. Cosa che non esitò a fare, accettando di collaborare con la creatura editoriale appena creata da Montanelli “Il Giornale”. Quotidianonato nel clima incendiario della metà degli anni ’70. I due diventarono molto amici. In un’occasione, Montanelli ebbe a dire di lui: “Un’ora con lui è un bagno d’osservazioni, ricordi, aneddoti, confessioni sembrava che ti avesse spiattellato sul tavolo tutto se’ stesso”. D’altronde, già s’era collocato tra gl’irregolari a tutto tondo con la pubblicazione negli anni Sessanta di una rubrica “Lettere scontrose” per il settimanale Tempo, articoli che inseguito verranno raccolti in un libro.
L’autoironia anche durante la malattia
In questi scritti,senza indulgenze inquadrava secondo il suo vivace punto di vista personalità del mondo della politica, della cultura e dello spettacolo. Da Aldo Moro a Amintore Fanfani passando per Monica Vitti, Alberto Sordi,Federico Fellini.Con il suo senso dell’autoironia, quando già era a conoscenza del brutto male che lo aveva colpito, si autodefinì “Io sono quello che ho fumato”. Alludendo, al noto ostinato morboso rapporto che aveva avuto con le sigarette per tutta la vita. Più di un passo falso, di autonomia e indipedenza, aveva compiuto agli occhi dei sorveglianti dei “giusti” equilibri. Come ad esempio,l’aver pubblicato cinque volumi curati da Giovanni Barbero Squarotti con “l’eretica” casa editrice Rusconi. Già segnalatasi per aver pubblicato autori “imbarazzanti” quali Cristina Campo, Zolla, Tolkien e il futuro Premio Nobel Modiano.
Il disincanto
A fronte di ciò il conto da pagare postumo, è quello di vedersi relegato nella steppa dell’oblio. Cosa che per un vecchio giocatore di carte dei portici dei Caffè di Bra, era da mettere in conto. Sapendo di aver calato i suoi assi, senza mai bluffare.Giocando schiettamente, costeggiando sempre “l’azzurro” della lealtà e del disincanto.