Gli abboccamenti di Ranucci e le sue “mezze verità”: il metodo “Report” nella sentenza di condanna di Tosi

16 Feb 2022 14:51 - di Lucio Meo

Ranucci, dinanzi alle insistenze del politico, assumeva un atteggiamento altalenante: in alcuni casi rispondeva in modo veritiero, in altri abbozzava ‘mezze verità’, in altri ancora diceva menzogne per enfatizzare l’autorevolezza della trasmissione Report e del dossier su Tosi e indurre l’interlocutore a rivelare quanto a sua conoscenza”. E’ uno dei passaggi della sentenza dell’autunno 2019 con la quale il giudice monocratico di Verona Cristina Carrara ha condannato in primo grado a tre mesi di reclusione l’ex sindaco di Verona Flavio Tosi per aver diffamato il conduttore e autore di Report Sigfrido Ranucci nel processo al centro del quale c’erano i video tornati in questi giorni al centro delle cronache.

Ranucci vinse contro Tosi ma nella sentenza si fanno notare alcuni aspetti strani

La vicenda nasce quando Tosi, allora sindaco di Verona, accusa Ranucci di aver cercato di comprare dei video per screditarlo: a sostegno delle sue accuse Tosi deposita in procura le registrazioni degli incontri tra Ranucci e l’esponente della Lega Sergio Borsato, effettuate dallo stesso Borsato. Ranucci viene assolto in quel processo, ma denuncia Tosi per diffamazione in relazione a dichiarazioni rilasciate in tre occasioni diverse nel 2014 ad alcune interviste ad emittenti televisive locali nel corso delle quali Tosi, riferendosi agli autori di Report, tra i quali Sigrifido Ranucci “li definiva ‘merde’ che usano denaro pubblico per costruire la macchina del fango” e inoltre affermava “ho la prova che Ranucci sta costruendo una trasmissione con notizie false contro di me…mi fa schifo” e “Ranucci mi fa schifo, è una merda”.

Nella sentenza di primo grado di questo secondo processo il giudice Carrara ricostruisce nel dettaglio il caso. “Nel corso del 2013 il Ranucci, coautore della nota trasmissione televisiva d’inchiesta Report, decideva di dedicare parte di una puntata all’allora sindaco di Verona, Flavio Tosi, in quanto più fonti anonime o riservate avevano segnalato alcune ‘anomalie’ sulla sua amministrazione, con particolare riferimento ad infiltrazioni della criminalità organizzata calabrese nella gestione degli appalti del Comune. Al giornalista era anche arrivata voce sull’esistenza di video e fotogrammi ritraenti il sindaco in abiti e contesti compromettenti, che sarebbero stati oggetto di ricatto da parte di alcune famiglie appartenenti alla ‘ndrangheta radicate in territorio veronese”.

Il ricatto mafioso sostenuto da “Report”

“Più fonti – prosegue la sentenza – riferivano che persona informata sui fatti era Mauro Sicchiero, militante nella corrente bossiana della Lega Nord, il quale sarebbe stato a conoscenza delle influenze mafiose sull’amministrazione comunale ed avrebbe persino preso diretta visione del materiale hard riguardante Tosi. Cosicché, in data 31.1.2014, il Ranucci intervistava il Sicchiero. All’incontro era presente anche Giorgio Mottola, giornalista Report che stava coadiuvando il conduttore nell’inchiesta. Il Sicchiero, dopo che Ranucci gli aveva detto di aver raccolto parecchio materiale sulla possibile collusione tra l’Amministrazione Tosi ed alcune famiglie ‘ndraghetiste, superata l’iniziale ritrosia, asseriva di avere intravisto i fotogrammi in questione in occasione di un incontro avvenuto tra Sergio Borsato e l’allora sindaco di Vittorio Veneto, Gianantonio Da Re. Nel corso di tale incontro, il Borsato (anch’egli militante nella corrente bossiana della Lega, antagonista a quella maroniana di cui Tosi faceva parte) avrebbe inteso mostrare al Da Re il materiale compromettente riguardante l’altera aspirante sindaco di Verona, ciò al fine di indebolire la posizione di quest’ultimo all’interno del Partito”.

Ranucci, “intendendo approfondire il tema ed appurare se il video a sfondo sessuale, ove esistente, fosse stato oggetto di ricatto da parte della criminalità organizzata e avesse dunque condizionato le decisioni amministrative del primo cittadino, chiedeva al Sicchiero di procurargli un appuntamento con Borsato (…) In data 13.2.2014, Borsato incontrava Ranucci a Padova, alla presenza del Sicchiero. Il Borsato più e più volte chiedeva al giornalista quali fossero le informazioni sino ad allora raccolte su Tosi, quali le fonti e quale l’obiettivo dell’inchiesta. Il Ranucci, dinanzi alle insistenze del politico, assumeva un atteggiamento altalenante: in alcuni casi rispondeva in modo veritiero, in altri abbozzava ‘mezze verità’, in altri ancora diceva menzogne per enfatizzare l’autorevolezza della trasmissione Report e del dossier su Tosi e indurre l’interlocutore a rivelare quanto a sua conoscenza”.

Il pagamento promesso dalla Rai

“Mosso da tale scopo, il giornalista si spingeva a millantare amicizie in tutte le Procure del Veneto e ad affermare di essere in possesso di notizie riservate su indagini della Guardia di Finanza. Egli, per un verso riferiva di aver ricevuto da fonti attendibili parecchie segnalazioni sull’influenza della ‘ndrangheta nell’Amministrazione Tosi, per altro verso si limitava a riportare esempi non assodati o di scarsa pregnanza (…). A quel punto il Borsato asseriva di aver visto il video compromettente e prospettava la possibilità di recuperarlo da colui che lo aveva registrato, verso il pagamento di 10-15.000,oo Euro. Il Ranucci, al solo fine di ottenere materiale utile per l’inchiesta, si fingeva disponibile a pagare detta cifra con denaro della Rai ricorrendo a documentazione fiscale di comodo”.

Il 18.2.2014, in Roma, aveva luogo un secondo incontro tra Borsato e Ranucci, sempre alla presenza di Sicchiero, nonché di tale Massimo Giacobbo, presentato al giornalista come l’autore del filmato hard e perciò ricattato dalla mafia e costretto a trasferirsi all’estero (solo in seguito Ranucci scoprirà che il Giacobbo nulla aveva a che vedere con il fantomatico video ed era stato incaricato dal Borsata di fingersi autore del filmato in questione al fine di carpire i propositi del giornalista Rai). Il Ranucci ribadiva le informazioni sino ad allora reperite sul sindaco e la possibilità di comprare il video con documentazione giustificativa di comodo e, incalzato dai suoi interlocutori, affermava che l’obiettivo dell’inchiesta era Tosi e che rivelazioni di tale portata avrebbero decretato la fine della sua carriera politica”.

“Il giornalista, vedendo che il Giacobbo, al pari del Borsato, tergiversava sulla consegna del filmato ed intuendo che la finalità dell’incontro era solo quella di apprendere le informazioni raccolte sul sindaco, perdeva interesse per il video e decideva di mandare in onda la puntata con il materiale a disposizione, ritenuto di per sé sufficiente a sostenere che l’Amministrazione Tosi fosse collusa con la ‘ndrangheta”.

Le accuse di Tosi che gli valgono la querela

In data 21.2.2014, il sindaco annunciava in conferenza stampa che il giornalista Rai Sigfrido Ranucci stava confezionando un dossier falso e diffamatorio nei suoi confronti e che avrebbe utilizzato denaro pubblico per acquisire documentazione a conforto – prosegue la sentenza – In pari data, Tosi si recava presso la Procura di Verona e depositava l’atto di denuncia-querela oggetto di causa, esponendo di avere appreso da Sergio Borsato che l’autore di Report stava preparando una puntata sul primo cittadino di Verona al fine di rovinarlo politicamente, potendo contare su fondi neri Rai nonché su importanti appoggi politici, giudiziari e nell’ambito delle Forze dell’Ordine. In allegato alla querela, l’esponente produceva i file consegnatigli dal Borsato riproducenti gli incontri avvenuti tra quest’ultimo ed il giornalista il 13.2.2014 ed il 18.2.2014 (che il Borsato aveva registrato all’insaputa del Ranucci). Alla querela seguivano una serie di iniziative atte ad impedire la messa in onda della puntata e che, di fatto, rischiavano di allontanare Ranucci dalla redazione Report e più in generale dalla rete Rai”.

“Nei giorni immediatamente successivi e nel corso dei tre mesi a seguire, il sindaco ribadiva pubblicamente le accuse contro Ranucci, tacciandolo di dossieraggio ed offendendolo sul piano sia professionale che personale, attraverso trasmissioni televisive e testate giornalistiche locali e nazionali. Nel frattempo, il 7.4.2014, era andata in onda la puntata Report sull’Amministrazione Comunale di Verona. L’imputato Tosi, sia in sede di interrogatorio che nel corso dell’esame dibattimentale, ha spiegato di aver querelato Ranucci sulla scorta di quanto Borsato gli aveva riferito e documentato e di avere agito al solo fine di tutelare pubblicamente la propria immagine e di evitare che un uso distorto dei mezzi d’informazione potesse accostare il suo nome alla malavita (…)”.

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