Il piano di Lamorgese per far fallire i referendum: niente election day, così il quorum rischia
Matteo Salvini lo ha chiesto subito: accorpiamo voto per i referendum sulla giustizia e voto per le amministrative. Un modo per arrivare più facilmente al quorum del 50% degli elettori, obiettivo senza il quale il referendum sarebbe nullo.
Lamorgese si è messa subito di traverso
Ma la ministra Lamorgese, che non ci pensa proprio ad incoraggiare i futuri successi della Lega, si è messa subito di traverso. Il Fatto rivela che “fonti accreditate del ministero dell’Interno fanno sapere che l’orientamento è quello di non accorpare le due consultazioni. Il motivo è semplice: negli ultimi anni, per prassi, i governi hanno scelto date diverse per referendum ed elezioni proprio per evitare che una consultazione influenzi l’altra”.
I casi del 2011 e del 2016
Al Viminale “ricordano gli ultimi due casi: nel 2011, governo Berlusconi, i referendum per acqua pubblica, legittimo impedimento e nucleare si tennero il 12 e 13 giugno mentre per le amministrative fu scelta la data del 15 e 16 maggio; nel 2016, governo Renzi, il referendum sulle trivelle (che non raggiunse il quorum) fu anticipato di due mesi rispetto alle comunali: si celebrò il 17 aprile mentre le elezioni a Roma, Milano e Torino il 5 giugno”.
L’election day farebbe risparmiare 200 milioni
Eppure, fa notare Libero, l’election day ci farebbe risparmiare 200 milioni. Luciana Lamorgese – continua Libero – per fare uno sgarbo al suo grande nemico Matteo Salvini, starebbe pensando di boicottare la consultazione referendaria. Come? Negando al leader della Lega l’accorpamento con le amministrative. Le motivazioni che starebbero dietro questa scelta sono chiare: i cinque referendum sulla giustizia per essere validi devono superare il quorum del 50% degli elettori e accorparli alle prossime amministrative potrebbe essere un bell’aiuto.
“E allora meglio far spendere 200 milioni in più agli italiani piuttosto che darla vinta alla Lega. Perché è innegabile che su questi quesiti Salvini ci ha messo parecchio del suo e allora pensano i suoi avversari – se fa una figuraccia finisce come Renzi nel 2006, quando il referendum sulla riforma costituzionale fallì costringendo l’allora premier alle dimissioni e al conseguente ridimensionamento delle sue ambizioni politiche”.