“Lavoratori, tiè!”: la miliardaria Pfizer licenzia 130 lavoratori a Catania. Crosetto: «Cialtroni»
Non sono bastati 5 miliardi di utili a chiusura di un anno a dir poco spettacolare a salvare dalla mannaia del licenziamento i lavoratori dello stabilimento Pfizer di Catania. Avete letto bene: Pfizer, proprio la multinazionale dello stravenduto vaccino omonimo. Il 7 febbraio scorso l’azienda americana ha infatti comunicato che dallo stabilimento etneo dovranno sloggiare 130 operai. Tanti sono gli “esuberi“, secondo l’orrido slang buro-aziendale. Quanto meno si è fatta chiarezza. Già, perché per quattro giorni a tremare sono stati tutti i 650 dipendenti. Infatti, la notizia dei licenziamenti circolava, per altro via whatsapp, sin dal 3 febbraio.
Ieri Pfizer ha ufficializzato la notizia
Più che normale, quindi, che il comportamento della Pfizer abbia finito per attirarsi una serie di commenti, tutti improntati all’indignazione nei confronti della Big Pharma statunitense. Il più severo è certamente quello di Guido Crosetto, cofondatore con Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia ma ora distante dalla politica attiva. «Da imprenditore liberale – ha scritto in un tweet -, conoscitore delle dinamiche aziendali, ma consapevole anche delle responsabilità sociali delle imprese (che possono sostenerle) non riesco a non definirli cialtroni». Dal territorio siciliano sale invece pressante l’appello al governo ad intervenire per scongiurare i licenziamenti e/o trasferimenti.
L’appello al ministro Orlando
Ha parlato di «ecatombe occupazionale» la deputata regionale Angela Foti, che ha anche chiesto al ministro del Lavoro Andrea Orlando di convocare urgentemente un tavolo con l’azienda per scongiurarla. «Ci piacerebbe – ha aggiunto – che al tavolo partecipasse anche il ministro della Sanità così per ricordare a questi signori quanto hanno incassato in questi anni dai contribuenti italiani». Difficile darle torto: Pfizer ha lucrato miliardi di euro con i vaccini. Giusto che parte di quei guadagni vadano agli azionisti del colosso farmaceutico. Ma altrettanto sacrosanto è investirne l’altra parte nella ricerca e nella produzione. Non in nome dell’assistenzialismo, ma della giusta mitigazione tra logica del profitto e tutela dei produttori. Si chiama responsabilità sociale.