“Ridicoli i 53 applausi a Mattarella, erano grazie per aver salvato le poltrone”: il j’accuse di Sallusti
Trentasette minuti di discorso, 53 applausi a Mattarella, uno ogni 42 secondi: neanche Fantozzi con il megadirettore si sarebbe inginocchiato fino a quel punto. Il giudizio di Alessandro Sallusti su Libero, questa mattina, è lapidario: quel tributo così eclatante è il segno della riconoscenza dei parlamentari e del governo per aver salvato la poltona a tutti, “capri e cavoli”, scrive il direttore, che accusa “gli ultrà mattarelliani del giorno dopo”. Nulla da dire sulla figura di Mattarella e sulle sue parole sulla giustizia, su cui Sallusti fa mea culpa per aver dubitato che il presidente le avrebbe pronunciate, così come la necessità di condividere lo spirito del discorso di ieri da parte di tutti, opposizione compresa. Ma ciò che ha lasciato perplesso Sallusti è l’enfasi, il coro quirinalizio che nasconde i sensi di colpi e il flop per quanto combinato dai partiti nei giorni della rielezione del presidente della Repubblica.
Gli applausi a Mattarella dai Fantozzi…
Nelle pagine interne di Libero, poi, Alessandro Giuli entra nel merito della retorica del plebiscito mattarelliano. “In un fotogramma: un uomo fortissimo del proprio reincarico di fronte a una residuale claque della Repubblica che non è riuscita a designarne un successore e si è consegnata alla perpetuazione di uno schema d’emergenza che nella verità dei fatti si configura come la nuova normalità”. Ed ancora, le ironie sulle mani spellate: “Ha qualcosa di beffardo perfino, nell’esondazione degli applausi ascoltati, lo spellarsi di mani…”. Poi il giudizio politico sul discorso: “Non avevano torto i quirinalisti più informati quando negli ultimi giorni ci lasciavano intendere che Mattarella non avrebbe sculacciato il Parlamento a differenza di quanto fece il rieletto Giorgio Napolitano nel 2013. La ragione è abbastanza ovvia: quella cui si rivolgeva il presidente post comunista era una platea di neoeletti in una legislatura nella sua fase aurorale. Oggi siamo al crepuscolo, invece, il che rende ancora più vivida l’immagine che riassume il senso della giornata: Mattarella (Quirinale), Draghi (Palazzo Chigi) e Giuliano Amato (Corte Costituzionale) riuniti a colloquio dentro Montecitorio poco prima del discorso presidenziale, raggiunti in coda dai superflui presidenti delle Camere, Elisabetta Casellati e Roberto Fico. Ovvero le figure apicali e strategiche italiane, tre cariche non direttamente elettive da parte del popolo, che s’ intrattengono amabilmente nei vestiboli di un tempio negletto e sconsacrato in cerca di una ritrovata dignità. La parola d’ordine di Mattarella, per l’appunto…”, conclude con un po’ di amarezza Alessandro Giuli.