Stefano Zecchi: “Le Foibe furono un orrore della guerra, l’esodo una vergogna della Repubblica”
Esce oggi “Una vita per Pola”, adattamento “fumettistico” per i tipi di Ferrogallico di “Quando ci batteva forte il cuore”, di Stefano Zecchi, filosofo, docente di Estetica, già assessore alla Cultura nel Comune di Milano con Gabriele Albertini. Riceviamo e pubblichiamo l’intervista all’autore di Massimilano Mazzanti.
Professor Zecchi, partiamo dal “forma”: è un esordio anche per lei, questo ingresso nel mondo del “Graphic novel”, cosa l’ha spinta ad accettare la proposta della “Ferrogallico”?
“L’idea di poter accedere a un linguaggio più immediato, se si vuole anche semplice e diretto, una cifra comunicativa più accessibile ai giovani di oggi”.
Come giudica l’interpretazione di Giuseppe Botte, il disegnatore e l’adattamento del testo di Federico Goglio: si riconosce nel risultato che oggi è a disposizione dei lettori?
“Goglio è stato fedele al romanzo, per quanto fosse possibile data la differenza dei formati, e di Botte ho apprezzato la linea moderna, la capacità d’interpretare col disegno le immagini del mio racconto senza ammiccamenti, ma cogliendo la drammaticità e la problematicità della storia che ho voluto raccontare”.
Una storia, professore, che non le appartiene direttamente…
“È vero, è la storia di mia nonna, triestina, di mio padre che mi portava a vedere l’arrivo dei profughi da quelle che si chiamavano terre irredente. E che mi ammoniva a ricordare quello che vedevo. Una storia che era entrata anche in casa, ospitando per un certo periodo dei profughi, ma che, negli anni della gioventù e della prima maturità avevo rimosso”.
A un certo, punto, però, è riaffiorata nella sua memoria?
“Fu il sindaco Albertini, quando dovetti occuparmi di organizzare gli eventi della prima celebrazione della Giornata del Ricordo. Fu in quell’occasione che mi sentii spinto a dare voce ai ricordi: non con un saggio storico, che non era nelle mie corde, ma attraverso la narrazione di vissuti personali. Che racchiudono, però, il dramma della storia”.
La storia di centinaia e centinaia di migliaia di italiani trattati, a dir poco, con distacco, dal resto del Paese.
“Con la pubblicazione di questi romanzi, ho ricevuto anche un piccolo riconoscimento dalla Presidenza della Repubblica, ho vinto il premio “Tommaseo”. Ma la soddisfazione maggiore e più significativa l’ho avuta nell’entrare in contatto con una comunità di uomini e di donne. Che ancor oggi si distinguono per la grande umanità e l’immensa dignità che hanno maturato nel vivere e nel dover superare il dramma delle Foibe. E, faccia attenzione, soprattutto quello dell’Esodo“.
Un dramma che, proprio in occasioni come quelle di oggi, qualcuno tende a minimizzare.
“Si, ma faccia attenzione: è solo una questione politica che, proprio perché strumentale, si concentra solo sull’orrore delle Foibe. E, nel negare questo orrore, riduce tutto alle vicende strettamente legate alla guerra. Al contrario, quello dell’Esodo è stato un dramma della Repubblica: una vergogna proprio di questa nostra società: che additò questa umanità splendida e ferita così profondamente come fatta di persone di cui diffidare, da guardare con sospetto, da sparpagliare in cento città diverse.
Un’umanità che lei ha voluto tratteggiare dal punto di vista familiare, intimo, non retorico.
“Una vita per Pola” è anche la storia di un papà, in cui i tradizionali ruoli dei genitori si scambiano: la madre, nella mia narrazione, è la maestra – figura culturale importantissima nell’Italia del primo Novecento e dell’immediato dopoguerra -. Irredentista, attiva nel difendere l’identità; il padre, quindi, diventa la “figura di salvezza”, che accompagna il figlio nella realtà dell’esodo e ne custodisce le radici”.
Un’ultima domanda: lei, nell’introduzione al fumetto, parla di “fedeltà della memoria”. Qui ha ricordato che, anche lei, in una parte della sua vita, era stato “infedele” a questa memoria. Perché si tende a non ricordare, a volte o in certi casi?
“Per non soffrire, per dimenticare aspetti dell’esistenza che non sono piacevoli, che non sembrano belli. Poi, però, arriva il momento in cui si capisce che ricordare chiaramente ciò che è stato, come nel caso degli italiani di Pola e delle altre terre irredente, è un autentico segno di civiltà“.