Angelo Mancia, ricordo e rabbia per il vile (impunito) assassinio quel maledetto 12 marzo 1980
12 Mar 2022 11:39 - di Alberto Consoli
Fin dalla tarda serata di ieri e dalla prima mattinata di oggi, 12 marzo, Angelo Mancia è presente nella mente e nel cuore di tanti militanti e amici che sui propri profili social si sono dati appuntamento nel ricordare quel maledetto giorno del 1980 in cui fu vilmente assassinato. Lavorava come fattorino al Secolo d’Italia. Era segretario della sezione Msi Talenti. Ricordiamo le parole di Giorgio Almirante alla notizia dell’assassinio: «Al bestiale e blasfemo urlo dei barbari, noi opponiamo il grido degli uomini forti e civili; che per ogni loro caduto annunciano il sorgere di mille nuovi giovani pronti a combattere nel tuo nome, Angelo, per la libertà, con il metodo della libertà». Angelo Mancia fu ucciso la mattina del 12 marzo del 1980 a Roma, con tecnica gappista, da delinquenti organizzati in “volante rossa”. Aveva 27 anni. Un omicidio rimasto impunito. La sezione Talenti, in via Martini 29, era stata aperta nel 1972 da Domenico Gramazio insieme con Bruno Tomasich. Insieme alla la sezione Montesacro in via Valsolda, furono due sezioni particolarmente bersagliate dalla furia comunista e anche dalla questura, che le chiuse più volte.
Ricordando Angelo Mancia
Sono tanti gli amici che oggi dedicano un pensiero ad Angelo, sarebbe difficile elencarli tutti, basta fare uuna ricerca per vedere postate foto ingiallite dal tempo ma non dal cuore. “Militante coraggioso, generoso, guascone, sempre pronto ad accorrere, in sella al suo inseparabile motorino, ovunque era necessario difendere i nostri militanti dalle aggressioni violente della canea comunista”. Molti rievocano il giorno dei suoi funerali, quando nella Basilica di Santa Maria degli Angeli non vi era posto e “rimanemmo in piazza della Repubblica riempita di giovani di giovanissimi mentre da un altoparlante si ascoltava la Messa e, insieme, le grida di dolore della mamma di Angelo”.
Angelo Mancia assassinato quel maledetto 12 marzo 1980
Al ricordo del militante missino stroncato all’età di 27 anni ha dedicato moltissimi articoli sul Secolo d’Italia il collega Antonio Pannullo. Autore di una serie di volumi dal titolo “Attivisti”, quegli anni li conosce e li ha studiati bene. “In quel 1980 non passava praticamente giorno senza che accadesse qualcosa di brutto ai danni dei giovani del Fronte della Gioventù. “Uccidere un fascista non è reato” era diventata la legge di quel periodo. E la sinistra estrema, l’Autonomia, Lotta continua, i collettivi e tutti gli altri avevano deciso che era ora di farla finita con i fascisti, con qualunque mezzo e ad ogni costo”. Questo il clima ricostruito da Pannullo in uno dei tanti articoli che fece da cornice all’omicidio.
La rivendicazione della “Volante rossa”
Il 12 marzo 1980 Angelo Mancia era appena uscito di casa per andare a prendere il suo motorino e recarsi al lavoro. Tre persone in camice bianco lo chiamarono per nome. “Voltatosi di scatto, Angelo non fa in tempo neppure a fiatare che un colpo di pistola sparato a bruciapelo lo colpisce alla schiena- leggiamo- . Rimasto in piedi grazie alla sua robusta costituzione, molla subito il motorino e si mette a correre verso il portoncino. Chissà cosa gli passa di mente in quegli attimi così concitati. Ma i killer non demordono. Lanciatisi al suo inseguimento, sono freddamente determinati a eliminarlo. E ci riescono. Altri due colpi sparatigli alle spalle, infatti, lo centrano in pieno”. Mancia cadde a terra in un lago di sangue. Lo finiscono con un colpo alla nuca, nello stile consueto della vera Volante rossa. Due ore dopo arrivò la rivendicazione farneticante a Repubblica: «Qui compagni organizzati in Volante Rossa. Abbiamo ucciso noi il boia Mancia. Siamo scesi da un pulmino posteggiato lì davanti». Nel 1951 gli assassini della Volante rossa partigiana furono condannati all’ergastolo, ma erano già tutti latitanti, e di loro non si seppe più nulla.
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