Come uscire da questa guerra: o vincono tutti, o perdono tutti. L’Ucraina merita di essere nazione

12 Mar 2022 19:45 - di Mikayel Minasyan*
guerra
C’è un’unica soluzione al conflitto russo-ucraino: la vittoria. Una vittoria che non può essere parziale o temporanea, ma una vittoria che deve essere definitiva ed eterna, senza ambiguità o doppie interpretazioni, esattamente come quelle delle due guerre mondiali.
Il mondo è entrato nel ventunesimo secolo con la frivola abitudine di non avere vittorie certe e ufficiali: lo scoppio dei conflitti era tanto ben identificabile quanto sfocata era la loro conclusione, senza che ci fosse una netta identificazione di vincitori e vinti, senza che fosse chiaro se i conflitti fossero risolti o meno. Tante verità soggette ad altrettante interpretazioni.
Logicamente, la conseguenza del fatto che gli eventi non vengano chiamati con il proprio nome, che non vengano concretizzati né delineati, che non vengano prodotti documenti e protocolli che formalizzino i risultati per tutte le parti in causa, che il consensus stia sia dalla parte dei vincitori che dalla parte dei vinti, è che non ci siano vere soluzioni. È stato proprio questo status quo, solo mezzo secolo dopo la fine della guerra fredda, a far sprofondare il mondo in questo caos prima inimmaginabile.
Alla base delle attuali turbolenze c’è la decisione dell’Occidente di ignorare e non ratificare il proprio ruolo di vincitore della guerra fredda. Il riconoscimento della vittoria avrebbe infatti messo fine alle ostilità nei confronti dell’ex blocco sovietico e di conseguenza reso inutile l’espansione della Nato verso est.
D’altra parte la Russia, in quanto successore legittimo dell’URSS, non ha voluto identificarsi come vinta, poiché l’ammissione della sconfitta avrebbe portato con sé la sua delegittimazione e dato una connotazione ben precisa ai rapporti con l’Occidente, identificandola nella migliore delle ipotesi come socio di minoranza.
Invece, ognuno è stato libero di dichiararsi vincitore. L’Occidente per questioni evidenti. I paesi dell’Europa orientale con la fine del Patto di Varsavia, con le dichiarazioni di indipendenza, con la smania frenetica di gettarsi nelle braccia del Vecchio Continente. Le repubbliche ex sovietiche, molte delle quali hanno acquisito un’autonomia governativa proprio grazie all’URSS, hanno generato nel 1991 una memoria indipendentista, separandosi di fatto dal loro passato sovietico, iniziando a salutare l’Occidente come vincitore della guerra fredda.
La Russia, impegnata nell’elaborare il passato sovietico in modo più o meno positivo, ha poi seguito le tendenze liberali degli anni Novanta, etichettando definitivamente l’Unione Sovietica come il male assoluto e unendosi alla sfilata dei vincitori. Alla base di questa posizione c’era anche una componente politico-economica, la nuova élite politica russa, secondo la quale il paese, affrancato dalle altre 14 repubbliche sovietiche, poteva finalmente tornare a respirare, ad occuparsi del proprio sviluppo, per vivere poi nella assoluta ricchezza e spensieratezza.
In assenza di vincitori e di vinti non ci sarebbero stati Teheran, Yalta, Potsdam. Il prosieguo del conflitto latente ha provocato a sua volta focolai di conflitti maggiori e minori, dal Kosovo al Karabakh, dall’Abkhazia alla Moldavia, e alla ovvia quintessenza di ciò, l’Ucraina.
Nel mondo sono cambiate tante cose. Sono passati trent’anni dalla fine della guerra fredda, la Russia ha abbandonato il suo ruolo di orso ferito, le repubbliche dell’ex Unione Sovietica sono diventate quasi tutte autonome. Solo una cosa non è cambiata: ancora oggi, nessuno vuole il ruolo del vinto.
Ecco allora che ci sono due possibili soluzioni al conflitto russo-ucraino: o tutti perdono (e al momento è lo scenario più probabile) o tutti vincono (e bisogna ancora capire come). Questa vittoria collettiva dovrà però essere ufficiale e documentata.
L’Occidente, in un certo senso, ha già avuto la sua vittoria, che dovrà essere ratificata. Infatti, dopo una serie di avventure incerte, durante le quali l’opinione pubblica e le elites governative europee ed americane non coglievano il senso di unirsi in una coalizione in Iraq, in Afghanistan o in Vietnam, per la prima volta gli Stati Uniti sono riusciti ad unire tutti i paesi occidentali sotto la propria invisibile bandiera e in un unico fronte compatto. L’Occidente è riuscito a galvanizzare la NATO, la cui occupazione principale fino a poco tempo fa era capire chi dovesse pagare e per cosa. Il tacito leader del fronte occidentale, come è ben noto, sono gli USA, ma di fatto l’Europa è guidata dalla Gran Bretagna, che l’Unione Europea l’ha lasciata. È una coalizione unica ed è l’indubbia vittoria dell’Occidente, vittoria che è necessario ufficializzare.
È necessario però anche sancire la vittoria della Russia, che finalmente è riuscita a dimostrare al mondo di avere delle proprie linee rosse e di non essere pronta a scambiare la propria sicurezza per delle borse di Louis Vuitton. È necessario riconoscere alla Russia il diritto su quanto è storicamente suo, la Crimea, chiudendo definitivamente il capitolo delle continue guerre (negli anni 988-989, 1475, 1768-1774, 1853-1856, 1941-1944, 2014, 2022). È necessario accettare la volontà russa di avere come vicina un’Ucraina nevralgica, fraterna, neutrale e federale, nella quale non venga finanziato l’odio ma supportato il razionalismo. Infine, bisogna rapidamente riconoscere alla Russia quello che le appartiene, che siate d’accordo, o meno: un posto di riguardo al tavolo dei leader.
Ed è necessario, infine, concedere al popolo ucraino la propria vittoria. Gli ucraini stanno dimostrando con il proprio sangue di meritare di essere chiamati nazione e di avere un governo proprio ed indipendente. Non è importante di chi siano le colpe per cui viene versato questo sangue, se della stessa Ucraina, della Russia, o se del fatto che siano stati vittime di una congiuntura geopolitica o come conseguenza di una serie di altre condizioni. Il sangue che è stato versato deve avere la sua ricompensa: l’indipendenza dell’Ucraina, indipendenza non solo dalla Russia.
Ed infine la vittoria va assegnata anche al presidente Zelensky, nonostante una certa arroganza, la visione ristretta, la scarsa esperienza e il non essere riuscito, direttamente o indirettamente, a risparmiare il suo paese evitandogli questa guerra sanguinosa. Egli, sin dai primi giorni del conflitto, si è trasformato da “populista legittimato” in “presidente-leader”. È quindi innegabile che l’Ucraina, nonostante la propria fragilità istituzionale, abbia oggi, per la prima volta, un presidente in senso classico. È necessario dare a Zelensky una via di uscita, garantendogli, dopo la firma dei trattati di pace, un posto e una condizione dignitosa nell’arena e nelle organizzazioni internazionali. E questo è dovere dell’Occidente.
Tutto questo è possibile. Possibile dal punto di vista della realpolitik, possibile perché realizzabile. Per fare questo il mondo ha bisogno di una conferenza dei vincitori, nella quale tutti i partecipanti convengano non su chi sia il vero vincitore ma su cosa possa portare con sé.  Bisogna solamente rinunciare alla metaverità.
*Già ambasciatore della repubblica di Armenia presso la Santa Sede

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