D’Annunzio tra motti e aforismi: una raccolta di messaggi per pochi eletti che oggi il web banalizza
I luoghi del Vittoriale – dalle stanze della Prioria ai diversi siti dei giardini – oltre a tutta l’opera in prosa e in versi di Gabriele d’Annunzio, sono accomunati da un aspetto della personalità del Vate rimasto fino ad ora in ombra: una costellazione di motti in italiano – spesso antico – in francese, in spagnolo, ma in prevalenza in latino che, raccolti nel loro complesso, superano il mezzo migliaio. Brevi locuzioni, acute e lapidarie, capaci di esprimere un sentimento, di accarezzare il ricordo o di spronare al coraggio. Il Vate li ha profusi dappertutto, nella sua opera ma anche nelle sue dimore. Soprattutto il Vittoriale, la sua esuberante residenza sul Garda, è costellato di motti, spesso accompagnati da illustrazioni e grafiche: D’Annunzio li ha sparsi dalle stanze della Prioria ai giardini, e perfino sul portasciugamani del Bagno blu. Sono più di cinquecento.
Il libro: “I motti di Gabriele d’Annunzio”
Pur se profusi dallo scrittore con nonchalance, la loro comprensione necessita di una chiave di interpretazione sia linguistica, sia di contesto. Da questa esigenza nasce “I motti di Gabriele d’Annunzio” (Silvana Editoriale, 2022), a cura di Simone Maiolini e Patrizia Paradisi. Cura l’introduzione il presidente del Vittoriale Giordano Bruno Guerri. Il volume – che è stato presentato a Gardone Riviera (Brescia), nella sede della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani – racchiude per la prima volta l’intera storia di questa peculiare vocazione, cercando di ricostruire le motivazioni all’origine della scelta di ciascun motto, oltre alla percezione che suscitavano all’epoca, tra i contemporanei del loro autore.
I celebri motti dannunziani coprono tutta la sua esistenza
Alcuni tra i più celebri: Ardisco non ordisco. Nec ictu, nec igne. Nec ferro nec amma. Quies in sublimi, Semper adamas. Humilia despicit. Eppoi i più noti: Memento ardere semper. Navigare necesse. Io ho quel che ho donato. E tanti altri motti che il libro elenca fino a schedare – lungo un arco cronologico che copre l’intera esistenza del Vate, con un picco nel periodo gardesano – i motti della Capponcina, di guerra, di Fiume, dei prodotti commerciali:(riscontrati su un’infinità di ‘supporti’: ex libris, francobolli, medaglie, gioielli, argenteria varia, manifesti, volantini, cartoline, frontespizi, copertine di volumi); quelli disseminati nelle opere letterarie, nelle lettere, fino a quelli ideati per gruppi e associazioni.
Erano messaggi per pochi eletti
Alcuni criptici ed enigmatici, d’Annunazio voleva che rimanessero tali: “I più antichi et più savi scrittori hanno sempre avuto in costume di raccomandare à loro scritti i secreti […] sotto oscuri velami; acciocché non siano intesi se non da coloro i quali hanno orecchie da udire, cioè […] siano eletti ad intendere i suoi misteri”. D’Annunzio voleva che fossero messaggi per pochi. Anche se oggi sul web i suoi motti, le sue frasi celebri disseminano la rete. A dimostrazione di un successo che non si spegne. Ma anche si una banalizzazione da Baci Perugina.
Infine, in un capitolo specifico, l’attenzione si concentra su alcuni motti particolarmente significativi, e amplia la prospettiva ad altri autori italiani (Carducci, Pascoli) e francesi (Montaigne, Hugo). Autori che hanno praticato i motti non senza probabili influenze sul Vate. Conclude il volume un approfondimento sulla grafica applicata a firma di Francesco Parisi, specialista del settore, che illumina il rapporto di d’Annunzio con gli artisti che lo hanno affiancato nella ricerca di un’arte integrale che unisse parole e immagini in un unicum di maggiore impatto ed efficacia.