Decreto Ucraina, Conte pronto a cedere a Draghi sul 2% alla Difesa. Letta, commosso, ringrazia…
Fosse uno spaghetti western, potremmo ricavare il titolo dalle caratteristiche psico-somatiche dei protagonisti (tipo «Il bello, il brutto e il cattivo»). Ma il trio di cui parliamo è tutto politico: Draghi, Conte e Letta. Rispettivamente, il premier, l’ex-premier e il mediatore. Oggetto della contesa: il decreto Ucraina che approderà giovedì nell’aula del Senato e di cui oggi discuteranno i primi due, divisi dai soldi da destinare alla Difesa. Il premier vuole aumentarli, l’ex-premier no. Solo qualche giorno l’aria tra i due era quella di un mezzogiorno di fuoco. Ma poi la tensione è scemata e dal «ciascuno farà le proprie scelte», con sottintesa minaccia di scatenare la crisi, Conte è passato al «M5S pilastro del governo».
In giornata incontro tra Conte e il premier
Indizio che nel frattempo era entrato in scena il mediatore, letteralmente atterrito dalla piega che stavano prendendo gli eventi. Già, Conte che impugnava metaforicamente la Colt contro il riarmo costituiva per Letta un doppio pericolo. Primo perché faceva traballare il governo sulla politica internazionale e poi perché avrebbe fatto da richiamo per i settori filo-russi e papisti annidati nel Pd. E allora, addio “campo largo“. Ma ora può tirare un sospiro di sollievo, la sua missione è compiuta: il mezzogiorno di fuoco tra Conte e Draghi non ci sarà.
Giovedì il testo sarà in aula
Si vedranno, certo, ma più sotto forma di rassicurante tête-a-tête che di duello al sole con gli occhi negli occhi e dito sul grilletto. Il premier porrà la fiducia e il vice-premier abbozzerà: l’aumento delle spese militari ci sarà, ma con la formula “in comode rate”, cioè diluito nel tempo. La sostanza della questione si sposterà dal decreto agli ordini del giorno che, si sa, come i sigari di Churchill non si negano a nessuno. Dopodiché entrambi potranno dire di aver vinto sotto lo sguardo compiaciuto del mediatore. Certo, resterebbe la questione della faccia dell’ex-premier, che in questi giorni, tra il lusco e il brusco, ha intimato al premier di dare a famiglie e imprese l’aumento di spesa destinato alla difesa. E che invece ora si accontenta di un dollaro bucato, travestito da ordine del giorno.