Il giallo della spedizione russa allo Spallanzani: hanno avuto accesso alla banca dati condivisa con la Nato?
I russi si sono fatti il vaccino Sputnik utilizzando i dati dello Spallanzani? Tutto sembra suffragare questa tesi dopo che Repubblica ha dato notizia dell’ingresso dei ricercatori dell’istituto Gamaleya di Mosca allo Spallanzani, nell’aprile 2021, per un accordo di cooperazione scientifica.
I ricercatori, si chiede oggi il quotidiano, “hanno avuto anche accesso all’intera banca dati dell’Istituto nazionale per le malattie infettive che contiene, tra le altre cose, le ricerche sui sieri da utilizzare in caso di armi batteriologiche? Registri, tra l’altro, condivisi con i paesi della Nato?”.
Parliamo del periodo in cui il Lazio, tramite l’assessore D’Amato, prospettava al governo la possibilità di produrre il vaccino Sputnik nella regione. Su Sputnik il Lazio aveva già avviato i primi contatti con la Russia, per il tramite dell’Istituto Spallanzani, che era a sua volta in sinergia con il Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologia N. Gamaleya di Mosca. L’accordo di cooperazione venne firmato l’8 aprile del 2021.
Nell’accordo – ricorda Repubblica – “lo Spallanzani si impegna a uno scambio di materiale biologico con Gamaleya, nel quadro di un accordo in cui noi dovremmo condividere i dati sui pazienti e i russi i risultati sul vaccino. Ricercatori di Mosca arrivano in Italia e accedono alla banca dati. Per fare cosa, non si sa”.
«Per quanto ci riguarda – dice Vaia oggi a Repubblica – il rischio di trasferimento di dati sensibili è pari a zero». Lo dice con la certezza dell’indicativo. Ma chi ha cominciato a guardare i termini di quell’accordo ha qualche dubbio. Non fosse altro – così come accaduto per la spedizione a Bergamo – che nessuno sa cosa abbiano fatto effettivamente i ricercatori.