La ragazza di Bologna. La foto-simbolo del crudele destino delle giovani uccise dai partigiani
Una fotografia può raccontare, a volte, più storia di una ponderosa ricerca. Una fotografia può diventare il simbolo di una fase storica. Può dirci, a distanza di decenni, quale fu il destino di numerose donne durante la guerra civile 1943-45 accusate di essere fasciste o collaborazioniste.
E’ proprio questo il caso della foto di una giovane donna catturata a Bologna da due partigiani e immortalata mentre sale le scale di un palazzo. Lo sguardo levato in alto rassegnato e al tempo stesso fiero. Il portamento dignitoso. Il sorriso soddisfatto dei due uomini che esibiscono la preda. Una foto che si trova nel terzo volume della Storia della Guerra Civile in Italia di Giorgio Pisanò.
Non può non colpire, una foto del genere. Ed è proprio da quella foto che parte la ricerca di Luigi G. de Anna per identificare quella ragazza, per dare un nome a quel volto e ricostruirne la storia. Una ricerca che è diventata poi un libro, edito da Solfanelli: “La ragazza di Bologna. Storia di una giovane fascista nell’aprile 1945“. Un libro che racconta delle donne fasciste uccise a Bologna tra il 21 e il 27 aprile. Furono almeno nove, giovanissime sacrificate senza colpe. Come Laura Cavulli, giustiziata perché sorella di un sergente del Battaglione Lupo della Decima. O come Ornella Santamaria, appena sedicenne, uccisa perché la madre cucinava per la Brigata Nera. I partigiani uccidevano senza prove, sulla base di un sospetto, di una chiacchiera, di un’antipatia.
Valga per tutte la storia di Iolanda Dobrilla, uccisa il 23 aprile del 1944 a Cortanello, nella zona di Finocchieto tra Terni e Rieti. Due partigiani della brigata Gramsci la uccisero lanciandole contro una bomba a mano. Il cadavere fu poi bruciato e i resti dati in pasto ai maiali. Nel 1950 la Corte d’Appello di Roma assolse i due assassini (Francesco Marasco e Luigi Menichelli) ritenendo che il fatto “rientrava nei legittimi atti di guerra”.
Ma chi è dunque quella ragazza ritratta in quella foto drammatica? Forse Cora Ferrari, prelevata dai partigiani e poi uccisa dopo avere subito ripetutamente violenza sessuale. La sua colpa? Essere in corrispondenza con un fidanzato fascista, forse uno delle SS italiane. Rapporto stretto tra l’altro, secondo le ricerche dell’autore, per poter ottenere viveri per la famiglia. Tanto bastò per ammazzarla in quanto “puttana dei fascisti”. De Anna si mette sulle tracce di Cora, riesce ad ottenere delle foto che la ritraggono sorridente, in tempi felici. Ma non è lei la ragazza di Bologna.
E non è neanche Licia Ginepri, uccisa da una raffica di mitra di un partigiano mentre cammina in via Garibaldi, a Bologna. L’uomo poi si giustificherà dicendo che la raffica era partita per sbaglio. Versione accreditata anche dalla madre di Licia per non avere guai. Alla fine la ragazza di Bologna rimane senza nome. Ma la sua immagine ci dice che ha avuto lo stesso destino delle altre giovani raccontate nel libro di Luigi de Anna. Lei che va incontro la suo destino crudele senza abbassare lo sguardo. Lei, così descritta da Paolo Pisanò (fratello di Giorgio) in una lettera all’autore: “Donna fascista giunta fortunosamente in immagine fino a noi con tutta la sua dignità e la sua fierezza di Italiana degnissima a un passo dalla morte. Onore a lei, quale che fosse il suo nome.