Lettera disperata al Papa: Santità vada a Kiev, solo lei può fare il miracolo e fermare il furore omicida
La guerra è il “Male assoluto”. Materializza l’odio. Genera morte. E causa dolore. Una catena di distruzione che afferma con veemenza e sangue, la disumanità di un mondo e l’orrore crescente di una comunità vicina che però guardiamo da lontano. È guardando a questo quadro, e cercando di analizzarlo e di intravederne una via d’uscita che Domenico Quirico, caposervizio esteri de La Stampa, ma non solo in veste di reporter, scrive al Papa una lettera pubblicata sul quotidiano torinese per rivolgere al Santo Padre un disperato appello: Santità vada in Ucraina, solo lei può fare il miracolo e fermare il furore omicida. Una invocazione che arriva al Pontefice proprio oggi, in occasione della ricorrenza del IX anniversario della solenne inaugurazione del suo Pontificato, quando anche il Presidente Mattarella, rivolgendo i suoi auguri a Bergoglio, ne sottolinea con gratitudine l’imprescindibilità di un «saldo punto riferimento per far prevalere ragioni pace».
Guerra in Ucraina, la lettera di Domenico Quirico al Papa
Le ragioni della pace e la necessità stringente di «fermare il furore omicida» che, scrive Quirico nella sua lettera, è «un gesto impossibile che solo Lei può compiere. Un miracolo. Ma saremmo cristiani se non credessimo nel miracolo, se accettassimo il riposo, non fossimo portatori di meraviglie? Dolore si chiama questo mistero e questa condanna. Lei può spalancare questo mistero. Chieda, ci chieda, da lì, alzando semplicemente le braccia al cielo, di spezzare il contagio dell’odio che è peggio della guerra. Perché è prodotto dalle ferite che essa provoca. E fa male sia a quello che le porta in sé sia a colui che ne è vittima». Per questo – è l’appello del reporter rapito in Libia nel 2011 e in Siria nel 2013, mentre era impegnato con le corrispondenze dai fronti di guerra – Le chiedo, la invoco: Santità, vada a Leopoli, vada in Ucraina a dire la parola pace».
Un’appassionata invocazione alla pace
E subito dopo, sempre al Pontefice che sta seguendo con grande attenzione il processo negoziale per la fine della guerra aggiunge: «Lo so, in questi giorni Lei ha detto e ridetto ciò che è vero per sempre. Ma bisogna gridarlo lì. Non a Roma: a Leopoli, a Kiev dove la morte fa le sue grandi manovre, la violenza ci accerchia e il perverso incantesimo deve essere affrontato e vinto. Vada subito, ora. A chiedere la pace, a esigere, sì esigere, che esseri umani non debbano attendere le insopportabili lentezze della diplomazia per sperare di restare vivi. Bisogna raddrizzare i sentieri sbandati della Storia. Lei può farlo. Le chiedo un grande gesto umano, oltre la ragione la prudenza le condizioni della realtà la sicurezza le usanze». «… Un grande gesto umano che possa spezzare questa mischia sacrilega in cui l’Europa sale sullo scannatoio e come per un contagio di furore omicida tutti ormai si armano e gridano e minacciano e sembra impossibile salvare la ragione dalle allucinazioni che il flagello scatena».
Disperato appello rivolto al Papa a compiere «il miracolo» e a «fermare il furore omicida»
E ancora. Sempre rivolgendosi appassionatamente a Papa Francesco, di fronte al quale «gli aggressori dovrebbero fare un passo indietro», Quirico incalza con la sua fervente richiesta: «Chieda, ci chieda, da lì». Dove «perfino ministri e ambasciatori si tengono alla larga, si fermano ai confini», dice il giornalista in un altro passo del suo appello su La Stampa – «alzando semplicemente le braccia al cielo, di spezzare il contagio dell’odio che è peggio della guerra perché è prodotto dalle ferite che essa provoca, e fa male sia a quello che le porta in sé sia a colui che ne è vittima. Non per una provocazione, parola orribile perché tante già ne vediamo ogni giorno: per un atto a cui sono certo nessuno, neppure gli aggressori, potrebbero sottrarsi. Davanti a cui divenuti inermi dovrebbero fermarsi».
Quirico al Papa: «Lei non è un politico, è una autorità morale, forse l’ultima in questo mondo»
E anche se, ammette Quirico nella sua lettera, «sento già gli scettici opporre: sarebbe un grido nel deserto, un rumore di canne nel frastuono delle bombe, vuol dire essere scudisciati da delusioni e amarezze», il giornalista aggiunge: «Forse. Forse grido nel deserto è ogni parola di pietà. Ma noi siamo uomini, non possiamo avere la sublime pazienza di Dio. Lei non è un politico, è una autorità morale, forse l’ultima in questo mondo dove ogni atto, ogni parola determina rappresaglie. Io credo che per noi laici l’unica sincera comunanza nel dolore sia quella che si prova insieme. Altrimenti ogni «io sono con voi» sillabato da lontano è retorica». Mentre il cristianesimo «è una religione che sboccia dalla sofferenza, fisica, umana, visibile e vissuta, che sublima lo scandalo del dolore. È impastato di profezia, di martirio, pianto, sangue e regno». Concludendo: «Chi altri ha il diritto di essere lì a condividere tutto questo se non Lei Santità?».