Open Arms, venerdì la processione dei testimoni della Procura contro Salvini
Sfileranno venerdì 4 marzo, nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, nel corso della seconda udienza del processo che vede l’ex-ministro degli Interni Matteo Salvini accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per il caso Open Arms, i testimoni portati dalla Procura.
Va ricordato che nell’agosto 2019 la nave dell’Ong Open Arms, battente bandiera spagnola, era andata, come un vero e proprio taxi del mare, a prendere i clandestini a ridosso delle coste libiche. E, invece di puntare verso il paese di bandiera della nave, aveva diretto la prua verso l’Italia rifiutando dapprima l’aiuto di Malta e, poi, anche l’offerta della stessa Spagna che aveva assegnato un Pos, un porto sicuro all’imbarcazione.
L’Open Arms rimase in mare per 20 giorni, con oltre 160 clandestini a bordo, prima di aver assegnato un porto sicuro. L’Italia si era anche offerta di scortare la nave verso la Spagna ma l’Ong rifiutò categoricamente puntando i piedi.
Venerdì la Procura farà dunque sfilare in processione alcuni testimoni contro Salvini, fra i quali il capitano di Open Arms, Marc Reig Creus, il prefetto di Agrigento Dario Caputo, il questore di Agrigento Rosa Maria Iraci, il direttore sanitario dell’ospedale di Licata, Vincenzo Asaro, la responsabile Cta dipartimento Salute mentale di Agrigento, Cristina Camilleri, perfino lo psicologo di Emergency, Alessandro Dibenedetto e Katia Valeria Di Natale, medico in servizio presso lo staff Cisom.
Obiettivo dell’udienza è verificare le condizioni fisiche e psicologiche dei clandestini a bordo, della Open Arms nonché le condizioni igienico-sanitarie della nave dopo 20 giorni di attesa in mare. Una condizione che certo non si può imputare né a Salvini nè all’Italia ma, semmai, alla cocciuta ostinazione con cui i vertici della Open Arms rifiutarono tanto gli aiuti di Malta quanto quelli della Spagna.
“Durante la missione 65 effettuammo 3 operazioni di soccorso, salvando un totale di 163 persone – sostiene il capitano Marc Reig Creus – Dopo aver esaurito tutte le possibilità legali e dovendoci proteggere dalle intemperie, ci ancorammo a 700 metri dall’isola di Lampedusa, all’interno delle acque territoriali italiane”.
”Le condizioni delle persone soccorse peggioravano di giorno in giorno, nonostante gli enormi sforzi dell’equipaggio della Open Arms che si adoperò con ogni mezzo per prestare loro le cure necessarie”, prosegue la narrazione del comandante di Open Arms.
“I naufraghi (in realtà semplicemente clandestini che Open Arms era andata a prendersi sotto costa, ndr) furono costretti ad attendere sul ponte della nostra nave subendo sofferenze inutili e gratuite – racconta Marc Reig Creus. – Inoltre, la disperazione e l’impotenza di fronte al rifiuto di sbarcare in un porto sicuro, spinsero alcuni di loro a tuffarsi in acqua senza che sapessero nuotare, cosa che mise ulteriormente in pericolo le loro vite”.
”Mi auguro che la legge italiana faccia giustizia stabilendo le responsabilità di quegli eventi, dimostrando che i diritti umani devono sempre andare oltre gli interessi politici“, sostiene il comandante della Open Arms. Che si ostinò a voler sbarcare a tutti i costi gli immigrati clandestini in Italia. Un gesto non solo politico, ma soprattutto ideologico.
Non a caso fra le carte processuali vi è una mail maltese che spiega molto bene la strategia della Open Arms per creare problemi all’Italia: “Avete intenzionalmente continuato a procrastinare per mettere ulteriore pressione su Malta – è l’accusa lanciata alle 21:17 del 14 agosto 2019 dal Centro di coordinamento di soccorso di La Valletta alla nave Open Arms. – Se aveste proceduto verso il vostro porto d’origine sareste già sbarcati“.