Pugno duro di Putin, botte ai dissidenti in piazza: “Gridavano cagna e hanno iniziato a strangolarmi”
Da Mosca a San Pietroburgo. Passando per Novosibirsk: scendere in piazza, in Russia, costa caro ai dissidenti che protestano contro Putin. A chi protesta contro la guerra in Ucraina. La libertà, innanzitutto. Le botte e gli insulti, subito dopo. Il numero degli arrestati per le manifestazioni in 18 giorni di guerra ha superato le 15mila persone. Ieri, in Russia, c’è stata l’ultima mattanza dei manifestanti che ormai lo sanno bene: dissentire e dirlo in piazza significa esporsi a una repressione dura, senza possibilità d’appello. E, soprattutto, senza nessuna chance di rispondere alla richiesta di mobilitazione che Aleksei Navalny ha lanciato dal carcere in cui è detenuto da oltre un anno, chiedendo ai russi di scendere in piazza nelle loro città ogni domenica alle 14 (ora locale). Solo ieri, la polizia ha fermato mille manifestanti (oltre ai giornalisti), di cui la metà a Mosca…
Pugno duro di Putin sui dissidenti: botte e insulti ai manifestanti anche ieri
Il clima nelle città della Russia è spaventosamente orwelliano: ora, al divieto di manifestare, si aggiunge il reato di «discredito dei militari russi». Un reato che rientra in quella legge approvata dalla Duma che proibisce di chiamare l’invasione in Ucraina «guerra», pena una multa salatissima la prima volta. E una condanna penale che prevede fino a 15 anni di carcere, se il reato viene reiterato. Così, ancora ieri, il coraggio dei dissidenti è stato pericolosamente messo alla prova. Il giro di vite contro i pacifisti russi è arrivato appena poche ore prima del blocco a Instagram, il social che le autorità russe hanno silenziato dopo che Navalny l’ha usato per chiamare a raccolta i concittadini e rivolgere loro l’appello alla protesta. Un ennesimo segnale che, unitamente alla messa al bando di Facebook e Whatsapp – «considerate organizzazioni estremiste» – la cortina del silenzio eretta intorno alle scomode verità della guerra in atto, è sempre più estesa. Il bavaglio alle voci dei dissidenti sempre più stretto. La reazione fisica esercitata sui manifestanti sempre più implacabile. Vietato obiettare. Contestare. Muoversi o parlare contro le forze armate. Il pugno duro è pesantissimo. Disarma e mette a tacere le proteste spacciate per «fake news».
Altra domenica di violenze sui dissidenti anti-Putin: 15mila russi fermati dall’inizio della guerra
Ieri in Russia, allora, l’ultima dimostrazione di forza. L’ennesima prova muscolare contro gli attivisti, che hanno denunciato fermi di polizia prima ancora di potersi aggiungere al corteo. E con centinaia di altri – riferisce oggi, tra gli altri, La Stampa – «inclusi civili neppure coinvolti nelle proteste», che «raccontano di essere stati perquisiti per il solo sospetto di voler partecipare alle proteste: telefoni cellulari passati al setaccio dagli agenti, che hanno controllato messaggi, profili social e foto, mentre sugli elmetti gli agenti esibivano la Z, lettera simbolo dell’invasione russa e del suo apprezzamento». Non solo. Mentre in Ucraina veniva ucciso a un checkpoint a Irpin, il reporter Brent Renaud, ex collaboratore del New York Times, decine di giornalisti venivano arrestati in Russia. Il primo lo hanno freddato mentre filmava i profughi in fuga. I secondi, arrestati nel tentativo di raccontare la repressione. E con loro, centinaia e centinaia di manifestanti fermati. Perquisiti. Malmenati. Umiliati. Tutti casi su cui, il ministero dell’Interno, ha notificato le denunce «per aver violato la legge». In tutto, quasi 15mila russi, fermati in 122 città dal 24 febbraio – data di inizio della guerra, e delle contestazioni – a ieri.
«Mi hanno chiamato “cagna”, sbattuto la testa sul tavolo e hanno iniziato a strangolarmi»…
Tra loro, i casi eclatanti che oggi trapelano ovunque. Quello di Anastasia Kotliar, per esempio, riportato da La Stampa. È lei, tra le prime che i poliziotti fermano, nel momento in cui decide di fare da scudo a un amico scaraventato in terra dai poliziotti. «Pensavo non avrebbero picchiato una ragazza», ha raccontato alla Ong OVD-Info, che assiste i detenuti politici russi. Invece l’hanno fatto. E hanno fatto anche di più: «Mi hanno chiamato “cagna” – denuncia la donna –. Mi hanno sbattuto la testa sul tavolo. Hanno iniziato a strangolarmi. Dicevano qualcosa, ma non ricordo più nulla». Ora Anastasia è in ospedale con quella che è probabilmente una commozione cerebrale. E si aggiunge alla interminabile lista dei quasi 900 russi fermati al momento nella domenica di protesta contro la guerra.
Arrestata, di nuovo, l’84enne simbolo delle proteste in Russia
Insieme a lei, a Nizhny Novgorod, i poliziotti si sono avventati su una ragazza, “colpevole” di tenere in mano un foglio bianco. Mentre Mosca, altri agenti in assetto antisommossa si scagliavano contro Dmitry Reznikov, buttato in terra e che non opponeva alcuna resistenza. Il suo reato? Mostrare un pezzo di cartone con degli asterischi, «*** *****» che, spiega il servizio su La Stampa, «ormai tutta la Russia legge come «net voyne», no alla guerra». Infine, ma non è certo stata l’ultima, a San Pietroburgo i poliziotti hanno arrestato di nuovo l’84enne Elena Osipova, dissidente simbolo della protesta. Gli agenti l’hanno portata via mentre in mano aveva ancora il cartello con su scritto: «Non vogliamo andare in paradiso morendo per Putin». Tutte prove di quello che Putin, militari e forze dell’ordine in Russia, ritengono un’«onta» da punire severamente. Brutalmente.