Stragi di Capaci e via D’Amelio 30 anni dopo: il Coisp avvia un “percorso della memoria”
Nel trentennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio, il sindacato di Polizia Coisp dà il via a un percorso di riscoperta di tante vittime ‘sconosciute ai più’ per celebrare quegli eroi in divisa che hanno pagato con la vita la lotta a Cosa Nostra. Un vero e proprio percorso della memoria.
“Siamo cadaveri che camminano”. Sono parole impossibili, che descrivono una situazione contro la logica e contro la natura. Eppure, sono diventate parole profetiche: una raffigurazione dettagliata di un dramma che ha segnato nel modo più brutale la storia italiana.
Ninnì Cassarà, ucciso il 30 aprile 1982
A pronunciarle fu il Vice Questore della Polizia di Stato Ninni Cassarà il 30 aprile del 1982, parlando con i giudici Chinnici, Falcone e Borsellino di fronte all’autovettura crivellata di colpi in cui erano stati ritrovati i corpi del sindacalista Pio La Torre e del suo autista Rosario Di Salvo. Vittime, in quell’inizio degli anni ’80, di una vera e propria guerra tra la fazione mafiosa dei Corleonesi, guidata da Salvatore Riina, e quella di Stefano Bontade e Gaetano Badalamenti. Una contesa che solo tra il 1981 e il 1983 ha provocato circa 600 morti, e che allora era solo solo l’inizio di una strage che ha coinvolto molti uomini delle istituzioni, pronti a sacrificare tutto – nel senso più letterale della parola – per combattere la mafia.
Quest’anno ricorre il trentennale delle stragi di Capaci e di Via d’Amelio, gli attentati in cui persero la vita Falcone e Borsellino, e che ormai sono diventati cupi emblemi di una stagione drammatica, le cui propaggini non risparmiano nemmeno i giorni nostri. E questa ricorrenza è un’occasione preziosa per ricordare, traendo forza e ispirazione dall’esempio di chi ha immolato la propria esistenza per sconfiggere Cosa Nostra.
Il sindacato di Polizia Coisp, guidato da Domenico Pianese, celebra la memoria di questi eroi attraverso un vero e proprio percorso della memoria che avrà inizio il prossimo 23 marzo durante il Congresso Nazionale del Sindacato e a due mesi esatti dall’anniversario dell’omicidio di Giovanni Falcone, avvenuto il 23 maggio del ’92. perché accanto a Falcone e Borsellino i nomi sono tanti, troppi, e non vanno dimenticati: uomini che si sono adoperati con interventi legislativi e con indagini coraggiose, e che hanno pagato con la vita, lasciando tuttavia un segno prezioso e importante.
È un percorso che si può articolare in date, come quel 21 luglio del 1979 in cui un killer solitario ha ucciso il Capo della Squadra Mobile di Palermo Boris Giuliano. La sua era stata un’autentica «rivoluzione»: aveva creato una squadra di giovani funzionari che era arrivata, tra l’altro, a individuare i rapporti determinanti tra la mafia siciliana e quella americana. Una traccia preziosa per tutti gli investigatori dopo di lui e arrivata in un momento in cui le indagini erano poche e deboli.
In quello stesso anno, il 25 settembre del 1979, a essere assassinati sono il giudice Cesare Terranova e il Maresciallo della Polizia Lenin Mancuso, uomo della sua scorta. Terranova fu il primo a mandare a processo membri della cosca di Corleone e aveva firmato insieme a Pio La Torre ed Emanuele Macaluso quella celebre relazione di minoranza in cui si portavano alla luce i rapporti tra mafia e politica. Sua e di Pio La Torre anche la legge sull’associazione mafiosa e sulla confisca dei beni. Azioni cruciali, che gli sono valse una condanna a morte sotto una pioggia di proiettili mentre percorreva una strada secondaria a bordo della sua Fiat 131.
Il 4 maggio del 1980 è la volta del Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, tra gli investigatori più vicini a Borsellino. Indagando proprio sull’omicidio di Boris Giuliano, aveva arrestato diversi esponenti mafiosi e ricostruire un quadro che portava fino a Totò Riina. È morto all’ospedale di Palermo dopo un proiettile alla schiena, colpito mentre aveva in braccio la figlia di quattro anni.
Un mese dopo, il 6 agosto 1980, tre colpi di pistola, anche in questo caso sparati alle spalle da due killer in moto, uccisero il Procuratore Capo di Palermo Gaetano Costa, protagonista di delicate indagini mirate a colpire i patrimoni di una mafia che stava cambiando volto, annidandosi nella pubblica amministrazione. Tra i suoi gesti più coraggiosi figura la convalida dell’arresto di 55 uomini d’onore: un atto che altri suoi colleghi si rifiutavano di firmare.
Passano due anni, e arriviamo a quel 30 aprile del 1982 in cui Pio La Torre e Rosario di Salvo vennero crivellati di colpi. È il giorno della già citata “profezia” di Cassarà, che si rivelerà tristemente precisa per tutti i partecipanti a quella conversazione.
Prima però, osserva il Coisp, altri persero la vita sotto i colpi della mafia: il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nominato Prefetto di Palermo dopo la sua lotta al banditismo e alle Brigate Rosse. È il 3 settembre del 1982 quando in Via Carini viene ucciso insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’Agente della scorta Domenico Russo. Uno dei primi ad arrivare sul posto, quella notte, è l’Agente Calogero Zucchetto, uomo di Cassarà attivo nella lotta alla mafia al punto da pagare di tasca propria la benzina per perlustrare in moto i vicoli di Palermo in cerca di latitanti. Saranno Pino Greco e Mario Prestifilippo, due killer da lui riconosciuti durante uno dei suoi giri di perlustrazione, a sparagli la sera del 14 novembre 1982, all’uscita di un bar.
Il 13 giugno del 1983 viene assassinato il Capitano Mario D’Aleo, insieme all’Appuntato Giuseppe Bommarito e al Carabiniere Pietro Morici. D’Aleo aveva sostituito Emanuele Basile e indagando sulla sua morte era riuscito a far condannare i tre esecutori dell’omicidio individuando Giuseppe Brusca come mandante. Un risultato importante, che però ha pagato con la vita.
Il Giudice Rocco Chinnici viene ucciso il 29 luglio del 1983. Tra i primi a comprendere l’importanza della sensibilizzazione sociale e a individuare le pericolose connessioni della mafia con alta finanza, politica e imprenditoria, è l’ideatore del “pool antimafia” che sarà poi attuato dal suo successore, Antonio Caponnetto. Chinnici – ricorda il Coisp – perse la vita in un’esplosione provocata da 75 kg di tritolo, insieme ai carabinieri Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta.
Il Commissario Giuseppe «Beppe» Montana venne ucciso il 28 luglio del 1985. Due killer gli sparano tra la folla, mentre si trova con la fidanzata sul molo di Porticello. Abile investigatore, aveva riportato numerosi successi tra arresti di latitanti e scoperte di depositi di armi e raffinerie di droga. Convinto dell’importanza dell’approccio culturale, aveva fondato il comitato “Lillo Zucchetto”, con cui andava nelle scuole e incontrava gli studenti.
Il 6 agosto 1985 è una pioggia di proiettili ad abbattersi proprio su Ninni Cassarà e sulla sua scorta, tra cui c’è l’Agente Roberto Antiochia che muore nel tentativo di proteggerlo. Il 14 gennaio del 1988 un altro membro di quella scorta, Natale Mondo, morirà sempre sotto i colpi della mafia. E il 5 agosto del 1989 viene ucciso anche Agostino Antonino, membro di una struttura di intelligence per la caccia ai latitanti e stretto collaboratore di Falcone.
Il percorso della memoria del Coisp
Si arriva così, prosegue la nota del Coisp, lungo questa lunga scia di sangue, al 1992. Difficile rimuovere dalla memoria quel 23 maggio e quel 19 luglio: prima Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Poi Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Nomi che sono diventati simboli della lotta alla mafia e del sacrificio di tante persone. Nomi che parlano di dolore, ma anche di speranza: perché se è vero che la tragica previsione di Cassarà si è avverata, è anche vero che i rischi e il sangue non sono mai bastati a scoraggiare questi uomini pronti a tutto pur di non arrendersi alla mafia.
“Per questo – sottolinea il Coisp – è importante un percorso della memoria: per non dimenticare chi, col suo sacrificio, ha fatto la differenza, credendoci ancora e ancora quando tutto sembrava volgere al peggio. Del resto, è stato proprio Falcone a dire ‘Gli uomini passano, le idee restano. Continuano a camminare sulle gambe di altri uomini’