Tra i vagiti di Maxim e le lacrime di Katia: in viaggio verso Roma coi 49 fuggiti dall’Ucraina (video)
Dal nostro inviato Valter Delle Donne
Maxim ha due anni e dorme placido sul sedile in fondo al pullman, accanto alla mamma: Vladislav è poco più grande di lui e a ogni sosta del viaggio dal confine dell’Ucraina a Roma trasforma un’area di servizio in un parco giochi. La signora Irina, seduta in disparte con un vezzoso giaccone rosa confetto, ha lasciato il marito a Donetsk, ma si è rifiutata di abbandonare il suo cagnolino. Così hanno fatto le proprietarie di un altro cane e di uno splendido gatto nero, divenuti tutti e tre le mascotte di questa missione umanitaria della Fondazione An.
Maxim, Vladislav, Irina: diretti a Roma in fuga dall’Ucraina
Se le parole hanno ancora un senso, definire “profughi o “rifugiati” Maxim, Vladislav, Irina e le altre vittime della diaspora ucraina, rischia di mandare in confusione gli italiani. Alla parola “profugo” o “rifugiato”, la nostra mente, assuefatta dai media, associa altre immagini. Vede barconi stracolmi di disperati, visualizza giovani maschi vigorosi, decisi a rimanere in Italia a tutti i costi. E non sempre per “pagarci le pensioni”.
Ecco, questi profughi – e non per ragioni geografiche – non sono paragonabili a quelli. Probabilmente, servirà un nuovo termine, una definizione apposita per definire la diaspora degli ucraini per l’Europa. Per raccontare queste vicende umane, che Giancarlo Liti, uno degli autisti della nostra spedizione ha sintetizzato al telefono con la moglie, meglio di qualsiasi reporter, in puro dialetto ternano: “Se vedi quello che abbiamo visto noi in questi giorni, te metti a piagne e non finisci più”.
L’autista di uno dei pullman al telefono con la moglie: “Se li vedi piangi e non smetti più”
Se vedi Katia, 24 anni, scorgi gli occhi ancora gonfi di lacrime. È fuggita da Kramatorsk e non sa proprio dove andare. Cerca di farle coraggio Tania, qualche anno più di lei, fuggita dalla stessa città. Per entrambe hanno deciso i genitori: le hanno “costrette” ad andare via, per mettersi in salvo. Almeno loro. Volevano tutte e due restare in Ucraina, ma la guerra ha deciso per entrambe. La guerra ha deciso anche per la vita di Ulyana (nome di copertura) che è ancora furiosa col marito che l’ha costretta a lasciarlo a combattere. A lui il compito di difendere la sua patria, a lei quello di proteggere i loro due figli.
Tra queste 49 persone che la spedizione della Fondazione An sta conducendo a Roma, spicca un dato che tacita il partito del “facciamoci i fatti nostri”. In questa missione umanitaria viaggiano 24 donne, 19 bambini e tre neonati. E spicca la presenza di appena tre uomini, anziani e in condizioni di salute precarie. Evocano il vecchio eroe Anchise, sulle spalle del figlio, in fuga da Troia. Stavolta, però, Enea è donna.
(video Alberto Palladino)