Ucraina, aggiornato il piano italiano per l’emergenza nucleare: i tre scenari in caso di incidente
Il governo aggiorna dopo dodici anni il Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari. E lo fa a pochi giorni dal presunto attacco russo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia (a quanto accertato, senza alcuna conseguenza); anche se l’aggiornamento è stato avviato mesi fa. Ed è un piano che si fonda su alcuni punti fissi. Riparo al chiuso, con porte e finestre serrate e sistemi di ventilazione o condizionamento spenti; iodioprofilassi e controllo della filiera produttiva. Il Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari, attivato tramite la Potezione civile, prevede tre step di intervento, in base alla gravità della fuga radioattiva e dalla distanza dal territorio italiano. Il tutto avviene mentre il panico cresto dalla guerra sta facendo registrare il boom di richieste di pillole di “iodio stabile”. Mentre sui social è diventato virale il simulatore di attacchi online Nukemap.
Piano di emergenza nucleare: è la Protezione civile a dare le indicazioni
Le autorità nazionali però chiariscono che non c’è alcun allarme. “Solo in caso di una reale emergenza nucleare, al momento inesistente nel nostro Paese, sarà la Protezione Civile a dare precise indicazioni su modalità e tempi di attuazione di un eventuale intervento di profilassi iodica su base farmacologica per l’intera popolazione” lo chiarisce l’Istituto superiore di sanità. Che, insieme a varie società scientifiche, invita a non usare farmaci ‘fai da te’; mentre è raccomandato l’uso di sale iodato. A livello nazionale, sul nuovo Piano tutti i presidenti di Regione sono stati coinvolti: sono infatti gli enti locali a ricevere eventuali informazioni o notifica dalle Asl che effettuano i controlli, ricevute le informazioni relative a un prodotto a rischio.
Le fasi del Piano di emergenza nucleare
Il Piano prevede tre step tarati sulla gravità dell’incidente da fronteggiare. E la discriminante è la distanza dal territorio italiano: entro i 200 km dai confini, tra i 200 e i 1.000 km dai confini, in territorio extraeuropeo. Repubblica ha elencato i tre diversi piani di intervento: entro i 200 km: se la sorgente delle radiazioni dovesse essere così vicina scatterebbe l’invito alla popolazione a chiudersi a casa (non oltre i due giorni); e la iodioprofilassi per ragazzi, giovani adulti e donne incinte e il blocco del traffico.
I tre scenari per l’alert
Tra i 200 e i 1000 km: si tratta di una distanza indicativa variabile a seconda delle condizioni meteo, venti e precipitazioni. In questo caso sono previsti interventi indiretti sul territorio: controlli su verdura a foglia larga e frutta, latte, sulla filiera agroalimentare e sulle importazioni dall’estero. Oltre i 1000 km: nei casi di impianti così lontani gli interventi si limiterebbero ai controlli sui prodotti in arrivo dall’estero; e sul rientro in sicurezza di cittadini italiani che dovessero essere stati esposti alle radiazioni.
“Riparo al chiuso”
Ci sono poi una serie di attività previste nei territori, che scatterebbero in caso di necessità. Nelle aree interessate dalla misura del cosiddetto “riparo al chiuso”, sono attuate in via precauzionale altre misure protettive: “blocco cautelativo del consumo di alimenti e mangimi prodotti localmente (verdure fresche, frutta, carne, latte); blocco della circolazione stradale, misure a tutela del patrimonio agricolo e zootecnico”. Tra i vari compiti delle autorità competenti – informa Tgcom24- ci sono anche comunicazioni tempestive alla popolazione, istruzioni specifiche alle scuole, far fronte ai bisogni primari della popolazione: cibo, acqua, assistenza sanitaria, energia.
Piano di emergenza nucleare: la iodioprofilassi
Nel documento si forniscono indicazioni per la iodioprofilassi: “una efficace misura di intervento per la protezione della tiroide, inibendo o riducendo l’assorbimento di iodio radioattivo, nei gruppi sensibili della popolazione”. Secondo il Piano, “il periodo ottimale di somministrazione di iodio stabile è meno di 24 ore prima e fino a due ore dopo l’inizio previsto dell’esposizione. Risulta ancora ragionevole somministrare lo iodio stabile fino a otto ore dopo l’inizio stimato dell’esposizione. Da evidenziare che somministrare lo iodio stabile dopo le 24 ore successive all’esposizione può causare più danni che benefici: prolungando l’emivita biologica dello iodio radioattivo che si è già accumulato nella tiroide. La misura della iodoprofilassi è quindi prevista per le classi di età 0-17 anni, 18-40 anni e per le donne in stato di gravidanza e allattamento. Il ministro della Salute può decidere l’attivazione delle procedure per la distribuzione di iodio stabile nelle aree interessate”, recita il documento. (Nella foto la centrale nucleare di Zaporizhzhia, prima di essere colpita e incendiata da tiri d’artiglieria russa nel sud dell’Ucraina).