Censura boomerang: la libraia che rifiutava di vendere il libro della Meloni sta fallendo
Quella strana idea di censura putiniana che la sinistra italiana ostenta in questi giorni sulle voci in “dissenso” rispetto alla narrazione lettiana del Pd pacifista che manda armi, vedi accuse di Santoro e imbarazzata replica, aveva avuto nel maggio scorso un illuminante precedente nella periferia di Roma, dove si consumò il “niet” della libraia rossa, Alessandra Laterza, all’esposizione nel suo negozio dell’autobiografia di Giorgia Meloni.
Una vicenda che tenne banco sui giornali con la forza di un evento bellico, con i proclami della libraia contro il libro da mettere al rogo nell’immaginario letterario di chi doveva, invece, garantire pluralismo e democrazia anche nelle proposte ai propri clienti. In quei giorni, Alessandra Laterza, titolare della libreria di Tor Bella Monaca, nel municipio 6 di Roma, ricevette attestati di stima e di solidarietà dai big della sinistra. Oggi è sola. Rischia di chiudere. Non ha i soldi per pagare le bollette. E la colpa è di chi amministra la cultura in Italia e l’energia nella Capitale. Non della Meloni espulsa sua mensoletta per qualche pacca sulla spalla dei compagni.
La libraia che censurò la Meloni potrebbe chiudere, peccato
Una brutta notizia, pessima, quella della possibile chiusura della libreria “Due Torri” lanciata ieri da Repubblica e ripresa oggi da Libero. La chiusura di una libreria è sempre una tragedia per la cultura, anche quando censura le opere non gradite, come accaduto in una università italiana con i romanzi immortali di Dostoevskij, come accaduto, fatte le debite proporzioni, con la biografia della Meloni.
Ecco perché tutti dovremmo scendere in campo per aiutare Alessandra Laterza, anche andando a sostegno di una colletta lanciata da alcune associazioni di sinistra. Alla libraia che censurava la Meloni e che denunciò assurde e riprovevoli minacce da fanatici, ottenendo la scorta, non va augurata la chiusura, ma una riflessione, oggi, potrebbe farla, anche perché lei sembra avere molta urgenza di spiegare che “il problema non è che non ho voluto vendere il libro di Giorgia Meloni, le vendite ci sono e sono anche tanto. Il problema sono le spese”.
Ce l’ha con l’Ama, del sindaco di centrosinistra Gualtieri, per intenderci, ma anche con lo scarso sostegno alla cultura dell’amico ministro Franceschini? La donna spiega di aver chiesto al proprietario delle mura una riduzione del canone di affitto. Richiesta non solo non accolta ma anzi: nel post pandemia il proprietario ha deciso di aumentare l’affitto di 300 euro portandolo, quindi, a 1500 euro mensili. Oggi ha un debito di 13mila euro e non sa come andare avanti, rischia il fallimento, le Boldrini, i Fratojanni e i Maurizio Martina, che nella foto in alto le sorrideva compiaciuto, all’orizzonte non si vedono…
Tor Bella Monaca come l’Ucraina
Il problema, dunque, non era la Meloni, in quella periferia di Roma dove una libreria è una trincea, proprio come in Ucraina. E se a Tor Bella Monaca governa il centrodestra, è comunque difficile immaginare che qualcuno per motivi politici abbia sistemato i cavalli di Frisia davanti alle vetrine della Laterza per metterla in difficoltà e costringerla a chiudere. La censura non è una bolletta ma forse costa più di una tassa, in termini di credibilità.