Colpì 51 volte il figlioletto, che poi morì. Ma per i giudici Alija Hrustic “non voleva uccidere, niente ergastolo”
Nessuna volontà di uccidere, tantomeno di torturare. Ne sono sicuri i giudici della corte d’appello di Milano che hanno annullato l’ergastolo e condannato a 28 anni Alija Hrustic, accusato della morte del figlio di 2 anni sul cui corpo verranno contate ben 51 lesioni. Nelle complesse motivazioni che seguono la sentenza, i giudici della a prima sezione della corte d’Assise d’Appello di Milano, presieduta da Ivana Caputo, ritengono che la veste giuridica più appropriata “non sia nè quella dell’omicidio volontario né quella dell’omicidio preterintenzionale, entrambe ‘forzate’, una per eccesso, l’altra per difetto” ma quella di maltrattamenti. I giudici di secondo grado, nella sentenza dello scorso 10 marzo, hanno riqualificato il reato di omicidio volontario in maltrattamenti: cioè nella casistica in cui da essi derivi la morte del maltrattato per un evento di lesione non voluto dal maltrattante.
Le motivazioni dello sconto a Alija Hrustic
“Il calcio, la spinta – o qualsivoglia gesto violento abbia fatto cadere l’odierna piccola vittima – è stato l’ultimo oltraggio infertogli non diverso dalle numerose percosse che (avevano) lasciato le ferite repertate sul suo cadavere”, scrivono i giudici. A parlare di quanto accaduto “quell’orrida notte del 22 maggio 2019” è il “corpicino martoriato della vittima, ritrovata esamine, coperta di lividi, offesa da lesioni lievi, gravi, gravissime ed una letifera, sul divano della casa teatro del delitto di omicidio e dei pregressi maltrattamenti”. Nel provvedimento si evidenzia che “la violenza genetica della frattura cranica” e il resto delle lesioni “si inserisce perfettamente in un’unitaria condotta di maltrattamenti”.
Contro il giovane sono state riconosciute le aggravanti della minorata difesa, delle sevizie e della crudeltà, dell’aver agito con crudeltà, è caduto invece il reato di tortura (riconosciuta in primo grado) così come i maltrattamenti ai danni della moglie, la cui posizione processuale viene ritenuta “ambigua”.