Come spartani alle Termopili: tra Mariupol e gli invasori solo gli irriducibili del battaglione Azov

14 Apr 2022 16:29 - di Michele Pezza
battaglione Azov

Casa per casa come a Stalingrado, con lo spirito dell’ultima battaglia come a Berlino, esposti agli attacchi da mare e da terra come a Gaeta nel 1860. Chi ancora può dubitare che la battaglia che infuria a Mariupol, ormai città martire dell’Ucraina, non resterà scolpita nella storia? A caro prezzo, purtroppo. Ma tant’è: ai russi serve per legare il Donbass alla Crimea senza soluzione di continuità territoriale. È lì infatti che i suoi  10mila armati stanno premendo con tutta la brutalità di cui hanno dato prova per venire a capo di una guerra che i loro capi avevano immaginato molto diversa da quella che stanno combattendo. Merito, soprattutto, del battaglione Azov, corpo d’élite che ignora la parola resa.

Il battaglione Azov è un corpo d’élite

Tra la città e il nemico restano solo loro. E le acciaierie dell’Azovastal, la più grande d’Europa con i suoi venti chilometri quadrati di cunicoli sotterranei scavati anche a 30 metri di profondità. Una reliquia dell’ex-impero sovietico difficilissima da espugnare. Gli uomini del battaglione Azov vi si sono asserragliati per sfuggire agli attacchi aerei. Ma non alle granate lanciate dai ceceni nei cunicoli per ucciderli o semplicemente stanarli e costringerli alla resa, sempre che riescano a pronunciarla questa parola. Ma non sembra. Già, insieme ai Marines ucraini hanno resistito persino quando sembrava che il governo di Kiev li avesse abbandonati al loro destino di combattenti dell’ultima battaglia. Erano senza cibo, senza collegamenti e si dissetavano con l’acqua delle pozzanghere.

«Nessuna resa»

Quando Zelensky ha finalmente battuto un colpo, parte dei Marines si era già arresa: oltre mille, secondo i russi; circa 200, a sentire il portavoce del sindaco di Mariupol. In ogni caso, nessuno dei combattenti del battaglione Azov. Finché resistono, Mariupol esiste e così anche l’Ucraina. Non è un caso che alla smentita della caduta della città da parte delle autorità di Kiev sia subito seguita la notizia del contrattacco con sfondamento delle linee russe. Propaganda di guerra? Può darsi. Di certo un segnale di vitalità: l’ennesima conferma che gli uomini del battaglione Azov non sanno arrendersi. Anche a costo di morire dopo aver combattuto corpo a corpo, strada per strada.

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