Corrado Alvaro, lo scrittore che odiava i totalitarismi, osteggiato dall’intellighenzia rossa
“La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”. Dubbio, che reiterati comportamenti non certo adamantini, della classe dirigente nel suo complesso, non hanno fatto altro che rinfocolare nell’opinione pubblica. Non alludiamo solamente alla classe politica, che non è altro che uno dei fili terminali di una matassa assai più intricata. Il severo monito, contenuto nella frase riportata è della Medaglia d’Argento conseguita nel primo conflitto mondiale sul fronte carsico dall’ufficiale Corrado Alvaro nato S.Luca provincia di Reggio Calabria il 15 aprile 1895. La persona in questione si segnalò come uno degli scrittori italiani della sua epoca tra i maggiormente significativi.Si rimane ulteriormente colpiti dal fatto, che l’autore di una notazione così carica di amarezza e disillusione, abbia deciso di farla scolpire sulla propria tomba del cimitero di Vallerano piccolo centro della Tuscia dove scelse di farsi tumulare. Venne a mancare nel giugno del 1956, seguito fino all’ultimo dalle amorevoli cure della poetessa Cristina Campo.
Corrado Alvaro e la letteratura del Meridione
Lo scrittore, quindi aveva attraversato e vissuto in prima persona, i contraccolpi delle burrascose mareggiate di un secolo che stentava a trovare un suo equilibrio. Solchi profondi, furono lasciati in lui dall’esperienzadella guerra, che il poeta e scrittore Corrado Alvaro, rievocò in più di una occasione.Nella raccolta poetica “Poesie grigioverdi”, e nel romanzo pubblicato nel 1930 “Vent’anni”.Con il libro “Gente in Aspromonte”, costituito da tredici racconti, Alvaro si pone a pieno titolo sulla scia della corposa letteratura del meridione d’Italia, che faceva capo ad autori quali Giovanni Verga, Luigi Capuana e Luigi Pirandello. Zona all’epoca, segnata da un elevatissimo tasso di analfabetismo. Diffusa povertà, livelli di vita inferiori al resto d’Italia. Stratificazioni secolari, di comportamenti oppressivi. Delle classi dei proprietari terrieri, nei confronti, dellacategoria dei braccianti e dei contadini, sottomessi in maniera inaccettabile. Area, che di fatto rimaneva chiusa staticamente su orizzonti provinciali. Con assoluta mancanza di sintonia con le trasformazioni che stavano maturando nel resto d’Italia e nel resto d’Europa. Atmosfera, complessivamente pesante. Insostenibile per gli aneliti intellettuali del giovane Corrado.
Alvaro tra fascismo e antifascismo
Il quale pur amando profondamente la sua terra, a causa di alcune persistenti rigidità di mentalità che riscontrava, viveva con essa un rapporto conflittuale. Testimoniato, ad esempio dal fatto che l’ultima volta che si recherà a San Luca, fu nel 1941 per partecipare ai funerali del padre. Nel 1916, a causa delle ferite riportate al frontepassò parte della convalescenza a Roma, e diventò collaboratore del Resto del Carlino, quotidiano bolognese. Città nella quale, trovò la futura consorte Laura Balbini e visse fino al 1919 anno nel quale si trasferì a Milano per cominciare la collaborazione con il Corriere della Sera. Città che lascerà per trasferirsi a Parigi come corrispondente di Il Mondo di Giovanni Amendola. Questa è una delle tappe di quel “nomadismo professionale”, che lo portò per ragioni diverse a essere corrispondente da Berlino del quotidiano La Stampa nel 1928. Nel 1925 aveva posto la sua firma al “Manifesto degli intellettuali Antifascisti”, promosso da Benedetto Croce, in risposta a quello degli intellettuali Fascisti, ispirato dal pensiero di Giovanni Gentile, reso pubblico in occasione del 21 Aprile di quell’anno, per la ricorrenza della Fondazione di Roma. La presa di posizione di Alvaro, fu chiara, netta e sicuramente scomoda nei confronti di un apparato politico di recente affermazione, che stava organizzando le strategie di consolidamento del suo potere. In un simile contesto lo scrittore, ritenne opportuno, pochi anni dopo, nel 1928, trasferirsi a Berlino come inviato della Stampa.
Questo incarico, si dice sia stato dovuto all’intercessione in suo favore di Margherita Sarfatti. Opportunità, che dava modo allo scrittore di allontanarsi da un ambiente, che per le scelte da lui operate, non gli era di certo tra i più favorevoli. D’altro canto gli dava l’occasione di sintonizzarsi con la cultura europea di quel momento, cercando di elaborare strategie di scrittura che facessero sfuggire i suoi scritti, dalla morsa dello stile che tanto consenso e successo aveva conseguito nel suo meridione. Il “Verismo”, il realismo, approcci alla scrittura che ai suoi occhi apparivano prevedibili, dalla carica espressiva disidratata. “I calabresi mettono il loro patriottismo nelle cose più semplici, come la bontà dei loro frutti e dei loro vini. Amore disperato di cui conoscono la vita cruda, che hanno fuggito, ma che in loro è rimasta come ricordo, leggenda dell’infanzia”. La sua sensibilità creativa quindi,per dare più spessori al suo operato, trovava sprone dall’antico e composito quadro mitico e rituale ereditato nella sua Calabria, dal portato dell’epoca della Magna Grecia. Agli approdi di stile e di uso del linguaggio di Alvaro, vennero riconosciute affinità, con ilrealismo magico di Massimo Bontempelli nella letteratura degli anni “20.
Cosa gli rinfacciò la sinistra
Lo scrittore calabrese, da metà degli anni trenta fu attivo come sceneggiatore firmando film che fecero epoca sia durante la guerra come “Noi vivi” con Alida Valli del 1942, che alla fine di essa, come ad esempio “Riso Amaro” con Silvana Mangano nel 1949. Alvaro, nel complesso della sua attività, a pose la sua firma su cose, che a guerra finita gli verranno rinfacciate. A dire dei suoi detrattori, firmare sceneggiature come quella di “Noi vivi”, film antibolscevico, oppure ricevere il Premio dell’Accademia d’Italia per la letteratura per “L’uomo è forte” libro del 1938, con il quale criticava severamente lo stato totalitario d’impronta stalinista erano quantomeno da biasimare. Cosa, che a uno come lui sottoscrittore anni prima del “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, costò l’accusa di essere fascista dal critico Giacomo Debenedetti. In precedenza, nel 1934, si era permessodi fare un reportage sulle bonifiche dell’Agro Pontino dal contenuto equilibrato e oggettivo. Con questo atteggiamento mentale, non poté non riportare gli aspetti positivi che l’iniziativa del Regime aveva conseguito. Il tutto fu settariamente liquidato, come un libretto apologetico della politica di opere pubbliche promosse da Mussolini.
L’elogio della bonifica delle paludi pontine
Testo, che a distanza di tempo, marcando la sua buona fede, rivendicò con queste parole: “Lo scriverei anche oggi, se qualcuno bonificasse qualcosa, chiunque fosse, essendo io legato alla terra, al lavoro, alla sofferenza umana”.La sua infanzia, era stata caratterizzata dall’estrema indigenza. Il suo pasto quotidiano, all’epoca, come ricorda Indro Montanelli in uno dei suoi ritratti che era uso fare sul Corriere della Sera era a base di pane e olive. La coda di polemiche di natura politica che ancora oggi inseguono Corrado Alvaro, sono ingenerose. Stiamo parlando di un grande scrittore che con “Quasi una vita”, ad esempionel 1951, con quella che fu definita “la grande cinquina”, nella quale vi erano Alberto Moravia, Carlo Levi, Mario Soldati, Domenico Rea, riuscì a prevalere aggiudicandosi quell’edizione del Premio Strega.
Quello che in realtà non è stato perdonato allo scrittore calabrese, non era certo ciò che si voleva far credere. Ossia, un presunto affievolimento dei suoi sentimenti antifascisti. Il punto, per alcuni assolutamente imperdonabile, consisteva nel fatto che Alvaro, si dichiarava caparbiamente avverso a ogni tipo di totalitarismo. Comunismo compreso quindi.Sistemi politici a maglie troppo strette per l’autore di “Gente d’Aspromonte”. Nello scrivere Alvaro, si confrontava con le tensioni che lo avrebbero lacerato tutta la vita e che avrebbero fatto vibrare la sua scrittura. Costantemente a confronto, i personaggi da lui creati, tra il partire e il tornare. Persone indigenti, sradicate, erranti con la malinconica nostalgia delle proporzioni del mondo contadino. Un mondo antico e uno moderno, nei quali l’autore fa affacciare i personaggi in cerca di equilibri rassicuranti. Giusta dose di bilanciamento, che ancora oggi non è stato compiutamente trovato. Constatazione, che rende ancora attuale la prosa dello scrittore calabrese.