Il cortocircuito dell’intellighenzia rossa: quel che Santoro non può dire sulla resistenza Ucraina
Bisogna risalire alla performance post-editto bulgaro per ritrovare un Michele Santoro così tonico e smagliante in tv. Un gigante di fronte ad un inceppato Corrado Formigli, forse sorpreso dalla verve sfoderata a PiazzaPulita dall’antico mentore. Che l’uno fosse il maestro e l’altro il discepolo è apparso chiaro fin dalle prime battute dell’intervista sulla guerra in Ucraina. E forse nessuno si sarebbe meravigliato se prima di alzarsi e lasciare lo studio l’anchorman anziano avesse ordinato a quello più giovane di andargli a comprare le sigarette. Esageriamo, ovviamente. In ogni caso, dato a Santoro quel che gli spetta, è impossibile non rilevare quanto il conflitto in corso stia lacerando l’intellighenzia di sinistra. In tal senso, PiazzaPulita è stata illuminante. Soprattutto nel momento in cui Formigli ha tirato fuori la lettera con cui Enrico Letta rimproverava al suo ospite di non usare la parola “resistenza“.
Brillante performance di Santoro a PiazzaPulita
Credeva di aver calato l’asso vincente, invece ha dovuto ritirarsi con perdite. «In Ucraina – ha infatti replicato Santoro – c’è una guerra tra opposti nazionalismi: la resistenza è un’altra cosa». Sembra una questione di lana caprina, invece è decisiva ai fini della narrazione interna alla sinistra. Che di quel riferimento ha bisogno come l’aria per riproporre anche sullo scenario ucraino il paradigma di sempre: i buoni, cioè se stessa, da una parte; i cattivi, cioè Putin e i putiniani, dall’altra. Non è un caso che i talk-show tendano sempre più a chiamare in causa Salvini o Berlusconi in veste di testimonial dell’innamoramento della destra per Zar Vladimir. Ma questo è il passato. Il presente, al contrario, consegna ben altre simpatie verso il Cremlino: i Vauro, i Travaglio, i Santoro e tanti altri etichettati “sinistra” in tempi ordinari e perciò assegnabili di diritto alla parte dei buoni.
«Tra Kiev e Mosca guerra nazionalista»
Scopo del ricorso alla suggestione resistenzialista è proprio quello di non regalarli ai cattivi, pena l’inservibilità del citato paradigma. Ma in un frangente che vede tragica protagonista l’Europa orientale, è facile solo a dirsi. E sì, perché quella è l’unica parte del globo dove lo schema buoni/cattivi può irrimediabilmente incagliarsi. Per la semplice ragione che i popoli dell’Est non guadagnarono né libertà né democrazia dalla sconfitta del nazifascismo nella Seconda guerra mondiale. Se prima a schiacciarli era lo stivale di Hitlter, dopo lo avrebbe fatto quello di Stalin, alleato degli Anglo-americani. Basterebbe questa banale constatazione a demolire radicalmente il significato che ancora si attribuisce a quel conflitto. Ad esso non era sotteso alcun obiettivo di liberare i popoli oppressi dai totalitarismi. Diversamente, quelli al di là della Cortina di ferro non avrebbero dovuto aspettare ancora mezzo secolo.
Pesa l’equazione antifascismo-democrazia
È il motivo per cui per buona parte della sinistra, non quella stinta dell’ex-dc Letta ma quella ideologica dei Santoro, parlare di resistenza ucraina contro la Russia è come per l’assassino tornare sul luogo del delitto. Solo che in questo caso la vittima è la verità storica. Non va infatti dimenticato che il (falso) mito della resistenza italiana si regge sull’equazione antifascismo–democrazia, smentita proprio dal prolungato martirio dell’Europa orientale ad opera dell’antifascistissima Unione Sovietica. Eppure, è su quella fuorviante equazione che l’intellighenzia rossa ha innestato la propria formidabile rendita di posizione. Dire perciò che l’Ucraina resiste all’invasore russo, erede di quello sovietico, è – per i suoi rappresentanti – come ammettere di raccontare solo balle da settant’anni.