Il “Russiagate” lambisce Conte. Nelle carte Usa gli incontri romani di cui “Giuseppi” non ha parlato
Due missioni a Roma (agosto e settembre 2019) con protagonista il segretario alla Giustizia Usa Bill Barr. Obiettivo: venire a capo del cosiddetto Russiagate, il presunto scandalo che avrebbe dovuto segare le gambe a Donald Trump e impedirgli di vincere la sfida presidenziale del 2016 contro Hillary Clinton. La vicenda è tutt’altro che nuova. A riparlarne è infatti Repubblica attraverso una ricostruzione di tutti gli spostamenti nella Capitale dell’Attorney General Usa. A Roma si respira aria di crisi: sono infatti i giorni del Papeete e dell’avviso di sfratto intimato da Matteo Salvini a Giuseppe Conte. C’è ancora quest’ultimo a Palazzo Chigi quando, il giorno di Ferragosto, Barr sbarca a Roma. A cena, quella stessa sera, l’Attorney incontra Gennaro Vecchione, direttore del Dis, gli 007 italiani. Vuole appurare se l’Italia è stata il laboratorio che ha confezionato il Russiagate contro Trump, che sul punto ha pochi dubbi.
Lo scoop di Repubblica
L’inquilino della Casa Bianca sospetta infatti che ad ordirlo siano stati i Servizi italiani, all’epoca sotto la guida di Matteo Renzi, e dal capo dell’Fbi a Roma, Michael Gaeta. Trump se n’è convinto sulla scorta delle accuse dell’ex-consigliere George Papadopoluos, che chiama in causa il professore della Link Campus University Joseph Mifsud. Sarebbe stato il docente – è la tesi di Papadopulos – a passargli la polpetta avvelenate sulla mail della Clinton rubate dai russi. Il punto tuttavia è un altro: Barr non avrebbe dovuto contattare Vecchione bensì il suo omologo italiano, informarlo e lasciargli il caso. Invece Barr va direttamente su Vecchione, dopo che questi era stato autorizzato da Conte ad incontrarlo. Uno strappo al protocollo internazionale, che negli ultimi giorni del governo gialloverde Trump ricambia con il famoso tweet in cui sponsorizza (inutilmente) la permanenza di «Giuseppi Conte» a Palazzo Chigi.
Le contraddizioni di Conte davanti al Copasir
Comunque sia, Barr torna in Italia il 27 settembre. Incontra di nuovo Vecchione per un colloquio di un’ora. Ciò nonostante resta a Roma due giorni. Come mai? «Conte non ne sa niente?», insinua Repubblica. Il sospetto del quotidiano di Largo Fochetti è che l’ex-premier non abbia detto tutto durante la sua audizione al Copasir, resasi necessaria una volta scoperta la missione italiana di Barr. In quella sede Conte ha infatti rivendicato la correttezza del proprio operato, negando che il tweet di Trump fosse una sorta di ringraziamento all’impegno profuso durante la missione di Barr, che per altro non avrebbe mai incontrato. Infine, ha assicurato che l’incontro dell’Attorney General con Vecchione si svolse nella sede del Dis, dichiarazione però contraddetta dalla cena nel ristorante romano la sera di Ferragosto. Tutto insomma lascia pensare che a pagare il conto più salato del Russiagate sia proprio la già malferma politica italiana.