Russiagate, Conte si difende balbettando: «Contro di me soltanto infamità e sospetti infondati»
Giuseppi non ci sta. L’ex premier Conte, neanche a dirlo, rispedisce sdegnato le accuse sul Russiagate. “Improprio sarebbe stato incontrare i rappresentanti degli Stati Uniti mettendo a disposizione i nostri archivi. O consentendo loro di acquisire in modo indiscriminato informazioni. Proprio per questo”, si discolpa. “Dopo un primo incontro in cui il sig. Barr ha esposto le sue richieste ed è stato definito il perimetro della collaborazione, vi è stato un secondo incontro. Con tutti i vertici delle nostre tre Agenzie. In cui è avvenuto il confronto oggetto del colloquio, senza consegna di documenti”. Così su Facebook il leader pentastellato, tornando su un articolo pubblicato oggi su Repubblica. Che ‘fotografa’ le due missioni del 2019 dell’allora segretario alla giustizia americano Bill Barr. E mette nuova benzina sul fuoco del Russiagate.
Russiagate, Conte si discolpa e fa peggio
“Collegare la richiesta di informazioni di Barr alla vicenda della formazione del governo Conte II è una illazione in malafede”, scrive ancora l’ex premier nel lungo post. “Visto che la richiesta di Barr risale al giugno 2019. Mentre la crisi del governo Conte I risale all’8 agosto 2019”. Il famoso tweet di Trump di apprezzamento verso l’avvocato del popolo (era il 27 agosto 2019), secondo l’interessato, non ha alcun collegamento con questa vicenda. Considerato – insiste con un certo imbarazzo – “che la richiesta di Barr risale al giugno precedente. E che questa richiesta e i suoi contenuti non sono mai stato oggetto di scambi. O confronti tra me e l’allora presidente Trump”.
“Contro di me solo sospetti infondati”
Nel corso del lungo cinguettìo l’ex premier si ‘incarta’. “Le allusioni del quotidiano – scrive – avrebbero trovato risposta immediata da parte mia se solo mi fossero state poste delle domande. Alle quali come sempre non mi sarei sottratto. Invece si è preferito alimentare sospetti infondati, sbattendo il mio nome in prima pagina”. A questo punto la difesa lascia spazio all’autocommiserazione. Condita con la più classica teoria dei complotti. “A Bonini (il giornalista di Repubblica, ndr), che mette in discussione il mio operato come Presidente del Consiglio, replico semplicemente che se lui, nello scrivere il suo articolo, avesse dimostrato una sia pur minima ‘cultura della deontologia professionale’, non si sarebbe mai permesso di scrivere queste infamità“.