Urso, abbiamo investito su Mosca e Pechino: ma la scommessa su Putin si è rivelata perdente
La guerra in Ucraina, la rivoluzione delle relazioni diplomatiche internazionali e la divisione sullo scacchiere bellico e diplomatico degli schieramenti in campo. Di vittime, carnefici, complici e ex amici. All’origine del peccato che induce a una «errata lettura storica». E a confondere sulla «distinzione tra alleati e partner» ci sarebbero, a detta di Adolfo Urso, senatore di Fratelli d’Italia e presidente del Copasir (il Comitato parlamentare che si occupa dei Servizi segreti), ambiguità e convenienze situate proprio sulla sottile linea di confine che separa alleanza e partenariato. A non considerare il fatto che, «c’è stato un momento in cui era utile. Perfino doveroso. Aprire un canale di dialogo con Mosca e Pechino». Anche se «oggi – chiude il cerchio Urso – dobbiamo prendere atto che la scommessa su Putin è stata perdente…
Intervista a Adolfo Urso: la guerra, Putin, Mosca e Pechino
Così, in un’intervista sul Foglio l’esponente Fdi ne spiega radici e ramificazioni. A partire da una erronea angolazione da cui guardare alla questione: quella che porta a «giudicare col senno del poi dichiarazioni di quattro o cinque anni fa». Con un punto fermo su tutti: riconoscere «che l’invasione dell’Ucraina impone, una volta per tutte, di dismettere ogni ambiguità. Lo dico anche a chi, tra le nostre imprese – spiega Urso – abbia la tentazione di aggirare le sanzioni»…
Urso su Putin: «C’è stato chi ha investito in una scommessa che s’è ora rivelata perdente»
«In vari settori della nostra classe dirigente – analizza alla luce dei fatti Urso nell’intervista al Foglio – c’è stato chi ha investito in una scommessa che s’è ora rivelata perdente. E in questi casi si fatica a rassegnarsi. Ma bisogna prenderne atto. Capire che la guerra in Ucraina non è una parentesi nella storia. Ma una svolta epocale. La speranza che molti coltivavano s’è mutata in delusione. E ora ha assunto oggettivamente i caratteri della minaccia».
Il momento storico che induceva ad aprire un dialogo con Mosca e Pechino
«C’è stato un momento – ricorda il senatore di Fdi ricostruendo le tappe del percorso delle relazioni internazionali – in cui era utile. Perfino doveroso, aprire un canale di dialogo con Mosca e Pechino. Ero a Doha, in rappresentanza del Governo italiano, nel novembre 2001, quando la Cina ottenne l’ingresso nel Wto. La minaccia universale era quella del fondamentalismo islamico. Allora, si credeva che l’apertura al libero mercato di certi Paesi avrebbe portato con sé anche diritti e valori democratici. Anche con la Russia l’assunto è stato simile, in quegli anni. Che sono gli anni di Pratica di Mare, non a caso».
La fascinazione per regimi autocratici considerati più efficienti delle nostre democrazie
«L’errore – conclude Urso – è stato però nel non comprendere che quel processo non era scontato: e che infatti da almeno un decennio, con l’ascesa di Xi Jinping da un lato. E l’avvio delle ostilità verso l’Ucraina dall’altro, Cina e Russia sono regredite verso un’involuzione autocratica e imperialistica. Non adeguare di conseguenza la nostra postura nei loro riguardi, ha indotto alcuni leader, alcuni Paesi, a scelte sbagliate». Non solo. Ancora prima – sottolinea nello specifico il presidente del Copasir – «in Italia c’è stata oggettivamente una tentazione diffusa: quella di lasciarsi affascinare da questi regimi autocratici, retti dall’uomo forte. Considerati più efficienti delle nostre democrazie, specie in momenti di crisi».
«La consapevolezza di una nostra triplice identità: italiana, europea, atlantica»
Una grande sottovalutazione, dunque. Per esempio, spiega Urso, «non si è voluto comprendere che anche certe relazioni industriali non sono neutre. Perché Russia e Cina usano spesso le imprese che investono all’estero come strumenti di penetrazione e di espansionismo del regime»… E oggi: una cocente delusione ammantata anche dal rischio della minaccia. Come reagire dunque? «Con uno spirito patriottico, per così dire. E cioè – conclude il senatore Urso – ribadendo la necessità di una autonomia strategica non solo nella Difesa. Ma anche nella tecnologia e nelle materie prime. Negli asset industriali e alimentari. Che noi dobbiamo perseguire nella consapevolezza di una nostra triplice identità: italiana, quindi europea e atlantica».