Depistaggio sulla strage di via D’Amelio, il pm: La Barbera prendeva soldi in nero dal Sisde
Parla di un “gigantesco depistaggio” sulla strage di Via D’Amelio in cui morì il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, il procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore De Luca . E tiene a sottolineare che la Procura di Caltanissetta è “unita sulle conclusioni” nel processo sul depistaggio che oggi prevede le richieste da parte dell’ufficio dell’accusa.
Alla sbarra ci sono tre poliziotti, Mario Bo, che è assente, e Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, che invece sono presenti.
De Luca ha voluto essere presente personalmente all’ultima udienza per il depistaggio su via D’Amelio dedicata alla requisitoria: “Io oggi sono qui quasi come testimone diretto – dice – perché l’eccellente lavoro fatto dai colleghi, in particolare dal pm Stefano Luciani, non ha bisogno di alcuna integrazione”.
“Sono qui per testimoniare che, pur tenendo conto dell’autonomia di udienza che accompagna ciascun magistrato della pubblica accusa, le conclusioni che saranno formulate non rappresentano il convincimento isolato di uno o due pm di udienza. Sono qui per testimoniare che tutta la Procura di Caltanissetta condivide, senza riserve, le conclusioni che saranno formulate e le valutazioni che saranno svolte dal collega Luciani in relazione all’aggravante di mafia“.
E aggiunge: “non si tratta di una frattura rispetto al passato ma di una lenta evoluzione che ci porta ad affermare la sussistenza dell’aggravante di mafia“.
“I plurimi e gravi elementi depongono tutti nel senso che il depistaggio ha voluto coprire delle alleanze, delle cointeressenze di alto livello di Cosa nostra“.
E parlando dell’ex-pentito Vincenzo Scarantino dice: “tutti sapevano alla Guadagna che Scarantino era un delinquente di serie c…”.
Le richieste saranno fatte nel tardo pomeriggio dallo stesso procuratore Salvatore De Luca quando il pm Stefano Luciani avrà terminato di parlare.
Secondo il pm, “la familiarità di Arnaldo La Barbera con i Servizi segreti emerge in maniera chiara attraverso i suoi rapporti con il Prefetto Luigi De Sena“.
“Rapporti particolarmente stretti tra De Sena e La Barbera – dice il magistrato nel corso della requisitoria del processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nell’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta. – Ma, come dice Gioacchino Genchi in aula, De Sena era una sorta di mentore di la Barbera“.
E ricorda il pm Luciani che “il Sisde era solito erogare somme di denaro verso i funzionari che si occupavano di eversione o criminalità organizzata“.
Poi spiega ancora che La Barbera, morto diversi anni fa, avrebbe ricevuto i soldi dal Sisde “in nero“. “Che un ufficiale di Polizia giudiziaria prenda fondi riservati in nero per soddisfare sue esigenze di vita privata, prende quel soggetto più o meno compromesso rispetto a quegli apparati che lo foraggiano?”.
“La figura di Arnaldo La Barbera è una sorta di Giano bifronte, il dirigente della Squadra Mobile di Venezia trasferito a Palermo per risolvere i problemi, diciamo il personaggio giusto al posto giusto nel momento giusto“, dice, senza mezzi termini, il pm Stefano Luciani che prosegue così la sua requisitoria nel processo sul depistaggio su via D’Amelio.
“Quello che emerge dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in primo luogo da Francesco Di Carlo, che si saldano con i dati documentali e dichiarativi – dice ancora il pm Luciani – aprono una finestra verso il contesto di Cosa nostra che va a saldarsi con le dichiarazioni rese dai collaboratori Vito Galatolo e Francesco Onorato“.
“E’ assolutamente provato in questo processo, ma lo era già al ‘Borsellino quater‘ di un a dir poco anomalo coinvolgimento del Sisde nelle primissime attività di indagini che hanno riguardato la strage di via D’Amelio“, sostiene il pm.
“La genesi di questo coinvolgimento viene ricostruita – dice Luciani – le dichiarazioni rese da questi soggetti sono interessati ad edulcorare la natura di questi rapporti, ma quello che emerge dalle carte è un dato non edulcorabile”. E ricorda le deposizioni di Lorenzo Narracci e di Bruno Contrada.
Sul falso pentito di mafia Vincenzo Scarantino e il suo ruolo in Cosa nostra “o i Servizi segreti non hanno saputo fare il proprio mestiere oppure c’era dell’altro…”, ipotizza il pm Stefano Luciani.
Il magistrato parla in particolare di una nota datata 10 ottobre del 1992. “Una nota del Sisde che ha due particolarità – dice Luciani – quello che dice e quello che non dice”.
E poi rincara la dose: “E’ impensabile che i Servizi di informazione, facendo il loro mestiere, cioè acquisire informazioni sul territorio, non avessere saputo o compreso o capito che Scarantino era, per dirla alla dottor Fausto Cardella, uno ‘scassapagliaro’ di modestissimo spessore criminale o eravamo nelle mani di persone che non sapevano fare il proprio mestiere. Visto che non hanno dato alcun apporto di tipo informativo su fatti gravissimi come le stragi o, ripeto, c’era dell’altro…”.