Loris Facchinetti: la lezione dei dissidenti russi utile a far capire che il comunismo non è ancora morto
Gli eventi narrati sono storie reali avvenute tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta. “Hanno origine – annota espressamente l’autore – nell’odio sparso e nei crimini commessi nell’intero pianeta durante il più grande e il più devastante conflitto armato mai accaduto nella storia”, cioè la guerra fredda. È il grande intreccio che emerge dalle pagine del libro Il secolo madre di Loris Facchinetti (i libri del Borghese, pp. 160, euro 15,00), in cui è centrale il sottotitolo: “TransSovietismo-TransCapitalismo. La guerra continua”.
Quasi a delineare la continuità tra il grande conflitto che ha devastato il secondo Novecento con quello attuale. Facchinetti è stato in quegli anni presidente in Italia di Europa Civiltà, associazione per la difesa dei diritti umani responsabile di iniziative clamorose e di manifestazioni di protesta nella stessa Mosca, ma contemporaneamente era anche componente dei vertici internazionali di NTS, Narodnoj Trudoi Soyuz, una delle principali organizzazioni per la lotta clandestina in Unione Sovietica.
“Nel sottosuolo del regime sovietico, nei Gulag e nelle prigioni di Stalin – scrive nell’introduzione Sergio D’Elia, segretario generale di Nessuno tocchi Caino – è nata la speranza di un mondo diverso, incarnata dai perseguitati, dai prigionieri, dai deportati sui quali è sceso lo spirito creatore di un ordine superiore che non sarebbe tardato a venire”. Riferendosi inoltre alle vicende descritte nel libro, Maria Teresa Bellucci, psicologa e deputata di Fratelli d’Italia, presenta i protagonisti di quelle stesse vicende come “capaci di ispirare e appassionare le generazioni successive, sino a quella attuale, così bisognose di esempi capaci di alimentare la flebile fiammella di quegli ideali di libertà e solidarietà che sopravvivono nonostante l’arido globalismo e turboliberismo”.
Il Caucaso, Tblisi, Baku, il Mar Nero, Budapest, Praga, Tallin, San Pietroburgo, Mosca, il Golan, Peshawar, l’Afghanistan… L’elenco geografico dei luoghi attraversati da Facchinetti è vasto e affascinante. Come i suoi innumerevoli “incontri con uomini straordinari” e la loro sovrumana lotta per la libertà. Interessanti le pagine sulle speranze connesse nell’89 alla caduta del Muro e alle successive disillusioni. “Con il disfacimento dell’Unione Sovietica – scrive Facchinetti – il mondo credette che il capitalismo liberale euroamericano avesse vinto per sempre lo scontro con il capitalismo di Stato realizzato dal marxismo-leninismo… In questi ultimi anni, però, superato il trauma del crollo dell’Urss, il gruppo dirigente della nuova Russia, figlio del KGB, dell’Armata Rossa e dei Boiardi di Stato, sopravvissuto alla caduta del Muro di Berlino, si è sempre più rafforzato sul piano interno e sullo scacchiere internazionale, nella redditizia indifferenza della classe politica e finanziaria dei paesi democratici”.
Dal novembre 1989 sono infatti trascorse alcune decine di anni ma le scorie della cultura totalitaria, grazie anche – rileva Facchinetti – “alla decadenza e alla stupidità dell’Occidente, stanno producendo un nuovo trans-sovietismo panrusso sempre più aggressivo e pericoloso”. Anche per questo, quell’epopea oggi dimenticata, così come l’autore definisce la resistenza antisovietica degli anni Settanta rappresentata dal dissenso, può in qualche modo assumere il ruolo di una grande lezione di fronte alla tragica attualità delle cronache belliche di questi nostri giorni.