Ricordo di Ignazio Silone: attualità di uno scrittore che invitava a superare l’antifascismo
Il XX° secolo, fu epoca di grandi fermenti. Rivoluzioni dei linguaggi artistici, sovvertimento di ordinamenti politici e sociali. In alcuni dei partecipanti a queste iniziative rivoluzionarie, s’intrecciavano motivazioni di scelte artistiche con quelle di natura politica. Evoluzione, maturazione e frutto di quelle inquietudini furono il dilagare per l‘Europa della nascita, e l’affermazione degli Stati Totalitari. Primo fra tutti, in ordine di tempo, quello dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Al quale seguiranno l’affermazione, di altri modelli di Stati Totalitari, in Italia, Germania, Spagna. I radicali cambiamenti portati dall’affermazione dei nuovi ordinamenti, furono crocevia di grandi passioni, entusiasmo trasformatosi poi in delusione.
Avvicendamento, di sentimenti e convincimenti, che saranno particolarmente leggibili e identificabili, nei percorsi di artisti e intellettuali e nelle dinamiche storiche. Per quanto riguarda gli scrittori italiani le delusioni saranno per così dire bipartisan. Srittori come Curzio Malaparte, Massimo Bontempelli si distaccheranno apertamente dalla loro esperienza avuta con il Regime Fascista. Corrado Alvaro e Ignazio Silone, avendo avuto l’opportunità di entrare in contatto con la dimensione del “socialismo reale”, ritennero doveroso mettere le loro convinzioni di un tempo, favorevoli a quella esperienza, completamente in discussione.
Il dato che accomuna queste grandi individualità è il “disincanto”, storie di un sentire profondo irrimediabilmente lesionato. Ovviamente, tra coloro i quali, erano rimasti sulle loro posizioni, “gente” come gli scrittori citati, erano ai loro occhi dei traditori. Diventati tali, per opportunismo e vantaggi personali. Per quanto riguarda la posizione assunta da Ignazio Silone, gli addebiti rivolti nei suoi confronti, da generici si trasformarono in vere e proprie accuse. Alcuni suoi ex compagni di partito sostennero, reiteratamente e pubblicamente che lo scrittore era una spia al soldo del Regime Fascista. Questa situazione creò intorno a lui un clima di ostilità e diffidenza. Accusa riproposta in un libello fino al 1996. Lavoro superficiale e maldestro, quest’ultimo, che non fece altro che riconfermare, l’estraneità dell’accusato da ogni addebito.
Realtà questa già affermata nel 1990 negli ambiti del P.C.I. Rispetto agli altri letterati citati, Silone, aveva avuto una vita politica particolarmente significativa. Secondino Tranquilli, era nato a Pescina piccolo paese dell’Abbruzzo il 1° Maggio del 1900. Luogo gravato da una condizione di dolente povertà e analfabetismo. Inoltre terra colpita da quel disastro che fu il terremoto del 1915. Sciagura nella quale, il ragazzo poco più che adolescente perse la madre. Tragedia che si andava ad aggiungere alla perdita del padre, avvenuta poco precedentemente. Avendo vissuto in prima persona il dramma, i lutti derivanti da esso, Silone sarà inseguito tutta la vita dalle terrificanti sensazioni vissute in quel contesto. Ebbe modo a seguito di ciò di conoscere Don Orione, venuto ad aiutare la popolazione così duramente colpita. Il sacerdote, grande figura di educatore, diventò persona centrale nella sua adolescenza.
Ben presto, fin dagli anni della prima gioventù, il futuro scrittore si schierò a prendere le difese, dei “cafoni”, per essi Secondino intendevai più umili e di fatto diseredati delle sue contrade. Avevano bisogno di aiuto e costruttiva solidarietàper poter fronteggiarele angherie e soprusi che subivano. S’impegnò tra le fila dei giovani socialisti. Al Congresso di Livorno del 1921, fu tra gli scissionisti del Partito Socialista, che dietro l’impulso di Gramsci e Bordiga fondarono il Partito Comunista. Ebbe modo di conoscere e frequentare, Lenin, Togliatti e ovviamente Gramsci. L’impegno che profuse in politica fu notevole. Grazie alla possibilità di effettuare dei viaggi in Russia, Patria del Socialismo realizzato, ciò che vide di quel sistema lo indusse a sviluppare riflessioni critiche rispetto ai suoi convincimenti e all’esperienza sovietica nel suo complesso.
“Ciò che mi colpì nei comunisti russi, anche in personalità veramente eccezionali, come Lenin e Trotsky, era l’assoluta incapacità di discutere lealmente le opinioni differenti dalle proprie”. L’avvento dello stalinismo, come naturale che fosse, ebbe ripercussioni forti anche nel Partito Comunista Italiano. Chi non era perfettamente allineato con la linea liberticida di Stalin veniva espulso. A seguito di quella subita da Angelo Tasca, ne seguirono svariate altre fino a giungere nel 1931 a quella dello scrittore mentre era in cura presso un sanatorio in Svizzera. Commentò il provvedimento dicendo tra l’altro: “Avrei potuto precisare… avrei potuto, ma non volli. Non dovevo lasciarmi sfuggire quella nuova, provvidenziale occasione, quell’uscita di sicurezza”.
La situazione per Silone si faceva veramente difficile sotto svariati profili da quello pratico a quello della profonda amarezza spirituale. Rimase in Svizzera, rinvigorì le energie, rinnovandole dedicandosi alla scrittura. Terreno che si rivelò fertile. Scrisse infatti nell’ arco di tempo che vadai primi anni trenta ai primi anni quaranta “Fontamara” universalmente considerato il suo capolavoro, “Vino e pane” e “Il seme sotto la neve”. I suoi cosiddetti “romanzi svizzeri”. Lo sguardo dell’autore è attento a sezionare il mondo dei “cafoni”, nelle loro impossibilità, dolori, aspirazioni. Quadro di quella gente del suo Abruzzo umile e vessata. Questo principalmente in “Fontamara”, negli altri due, crea un personaggio Pietro Spina, che quasi come un alter ego, vive le situazioni del mondo comunista con senso critico, aderente alla realtà, con dogmatismi che appariranno agli occhi del protagonista sempre più usurati.
In tutte e tre le opere, trasparenti sono i sentimenti antifascisti dell’autore, quanto la netta presa di distanza dalle posizioni dittatoriali e liberticide che stava assumendo il P.C.I. in quegli anni. Tra il 1952 e il 1955, rientrato in Italia, l’autore porterà una profonda revisione a tutti e tre i romanzi. In questa produzione letteraria traspare il riemergere di un sentimento antico, profondo, costitutivo dell’identità sua e della sua gente. Un sentire religioso dal quale era stata permeata l’adolescenza, che aveva rinnegato quando la scelta di militanza politica lo portò su posizioni atee e materialiste. Elementi questi di una conflittualità interiore, la cui soluzione, o quantomeno il suo alleggerimento, furono moralmente facilitate dall’espulsione subita.
Durante il lungo soggiorno svizzero, lo scrittore aveva avuto modo di frequentare diverse personalità della cultura europea. Uno di questi, che segnò profondamente l’animo dell’intellettuale abruzzese, stando alla testimonianza della consorte, fu Martin Buber. Filosofo e teologo austriaco ebreo. Silone, rimase affascinato e sollecitato, dal lavoro compiuto dal pensatore sulla traduzione in tedesco della Bibbia. Silone, facendo la sintesi delle esperienze vissute, e le proposte ideologiche con le quale si era confrontato, abbracciava convintamente l’esigenza di raccogliere “l’eredità cristiana”. Che doveva, nella sua lettura essere caratterizzato da carità e giustizia sociale.
Forte in questo convincimento dall’esempio ricevuto dalla frequentazione con Don Orione. La sua inquietudine religiosa, lo portò a confrontarsi creativamente con unafigura della sua terra, fortemente contrastata. Quella del “Papa eremita” Celestino V° in “L’avventura di un povero cristiano”. Opera scritta in forma teatrale, alla quale venne assegnato il Premio Campiello nel 1968. Aderendo al “realismo evangelico”, Silone in un articolo sull’Avanti “Superare l’antifascismo” prese, come costume nella sua vita l’ennesima posizione scomoda, e al tempo stesso lungimirante. Manifestò pubblicamente, il suo dissenso dall’antifascismo di facciata e, allora molto in voga dalla pratica delle epurazioni. I riconoscimenti critici alle sue opere letterarie, furono tardivi. Quelli positivi mai da fonti d’ispirazione marxista, che continuarono a ignorarlo o a screditarlo.Uomo fermo, coriaceo nei suoi convincimenti, da “cafone” vero. Tutta una vita, utilizzata a servizio dell’accensione della luce del dubbio, che illuminava la sua onestà intellettuale.