Vaiolo delle scimmie: studio Usa lancia l’allarme trasmissibilità, ma poi i ricercatori sono costretti a ritirarlo

30 Mag 2022 14:42 - di Viola Longo
vaiolo delle scimmie

Nessun allarmismo, ma informare, tracciare, circoscrivere e prevenire. È l’avvertimento a proposito del vaiolo delle scimmie che arriva dalla comunità scientifica, che invita a fare tesoro dell’esperienza del Covid. L’ultimo aggiornamento dell’Oms sul Monkeypox virus ha registrato 257 casi confermati e circa 120 sospetti in 23 Paesi. In Italia, tre giorni fa, il direttore dello Spallanzani, Francesco Vaia, parlava di una decina di casi, ai quali ora si devono aggiungere per lo meno gli altri due registrati ieri in Lombardia.

Pregliasco: «L’incendio si deve spegnere ora che è limitato»

«Sicuramente sul vaiolo delle scimmie stiamo vedendo la punta dell’iceberg. In questo momento è fondamentale, senza allarmismi, parlarne e riuscire a circoscrivere l’incendio finché è piccolo», ha spiegato all’Adnkronos il virologo Fabrizio Pregliasco, aggiungendo che, se lo faremo, «credo che nell’arco di un mese o 2 in Italia potremmo avere un centinaio, massimo qualche centinaio di casi». Se invece non ne saremo capaci, «nello scenario peggiore i casi potrebbero arrivare a qualche migliaio». E, benché la malattia non desti particolare preoccupazione, bisogna comunque «agire ora». «L’incendio – ha sollecitato Preglisco – va spento adesso mentre ancora è limitato».

L’importanza del tracciamento

Prima di tutto, dunque, «bisogna far sì che ci possa essere un tracciamento efficace, un’individuazione dei casi sospetti e dei contatti stretti». Contatti per i quali, secondo il direttore dell’Irccs Galeazzi, «sarebbe opportuno predisporre una quarantena di 21 giorni». Pregliasco, ha ha spiegato di confidare nella lezione Covid, per quanto riguarda «la capacità organizzativa del Paese per tamponare i casi». «È chiaro – ha però precisato – che moltissimo dipende anche dalla responsabilità dei singoli, in termini di comportamenti e di segnalazione di eventuali sintomi dell’infezione».

Gismondo: «Il vaiolo delle scimmie non è grave, ma va arginato»

Anche per Maria Rita Gismondo «i casi di vaiolo delle scimmie probabilmente aumenteranno perché purtroppo, malgrado il contact tracing per la ricerca dei contatti stretti delle persone contagiate, alcuni possono sfuggire e continuare a infettare». E sebbene sia opportuno «ribadire che si tratta di una malattia non grave», il Monkeypox è comunque un virus che «sicuramente bisogna arginare, contenere nel tempo più breve possibile, come è giusto fare per qualsiasi malattia infettiva».

Il Nobel Semenza: «Ci sono i vaccini, stiamo tranquilli»

Secondo Gismondo, dunque, «la cosa importante è dare il giusto significato all’aumento possibile dei casi», che comunque «non deve destare un allarme particolare», considerate le caratteristiche autolimitanti della malattia. È essenziale, però, «informare, informare, informare sulle modalità di trasmissione e ovviamente stare all’erta per cercare di intercettare tutti i contatti che possono essere a rischio». È stato poi il premio Nobel per la medicina del 2019, Gregg Semenza, a margine di un convegno a Roma, a sottolineare l’importanza dei vaccini. Fra gli anziani potrebbe esserci una parte di popolazione che ancora gode dell’immunità acquisita quando ancora si somministrava il siero anti-vaiolo, i giovani invece possono contare sul fatto che quel siero già esista e «può essere utilizzato, se servirà». Dunque, «possiamo stare tranquilli», perché «la protezione indotta dai vaccini contro il vaiolo allora ci proteggerà anche oggi».

Lo studio Usa diffuso e poi ritirato: dati inesatti

Anche all’interno della stessa comunità scientifica, però, non manca qualche scivolone, come quello denunciato sui suoi social dal biologo Enrico Bucci, docente negli Usa alla Temple University di Philadelphia sui suoi social. Bucci, infatti, ha riferito il caso di uno studio americano diffuso e poi ritirato dagli stessi autori perché basato su dati troppo esigui e, quindi, non attendibili. La ricerca, poi ritirata, condotta dagli esperti di Harvard e del Mit, «stimava un Rt per l’attuale variante come compreso fra 1,15 e 1,26, quindi in un intervallo che indicherebbe una potenziale propagazione complessiva».

«Ancora una volta – ha commentato Bucci – la pubblicazione era stata rilasciata di fretta, senza i dovuti controlli, ed è stata pertanto ritirata dagli autori, per via di un risultato erroneo, basato su troppi pochi dati (107 casi confermati e 81 sospetti, sparsi ovunque nel mondo) e comunque sull’applicazione di modelli a vanvera». «Ecco perché – ha aggiunto il biologo – bisogna procedere con cautela ed ecco perché ho scelto di non pubblicare ogni giorno le ultime novità, ma di prendermi il tempo necessario per l’analisi di cose importanti, se ve ne sono».

 

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