Dieci-cento-mille volte meglio «Ruby nipote di Mubarak» che il Di Maio voltagabbana
Dieci-cento-mille volte meglio “Ruby nipote di Mubarak” che lo spettacolo di un Luigi Di Maio che cambia casacca dopo aver detto peste e corna dei voltagabbana che restano in Parlamento. Senzadubbiamente, chioserebbe Cetto Laqualunque, uno che dall’ex-capo politico 5Stelle avrebbe certo di che imparare quanto a doppiezza e a immoralità politica. Ché di questo che si tratta. I deputati del centrodestra che nel 2010 avallarono la tesi di «Ruby nipote di Mubarak» avevano almeno dalla loro un simulacro di ragion di Stato. Senza trascurare, per par condicio, che essa era plausibile almeno quanto la seduta spiritica che ai tempi del sequestro di Aldo Moro avrebbe consentito a Romano Prodi di sapere del covo di via Gradoli. Lo stesso dove le Brigate Rosse tenevano segregato il presidente della Dc. Ma Di Maio quale ragione può invocare?
Di Maio ha tradito i suoi principi
Nessuna che sia diversa da quella di voler scansare il divieto di terzo mandato per restare comodamente assiso sullo scranno di Montecitorio e, finché dura, sulla poltrona di ministro degli Esteri. «E chiamalo fesso…», direbbe Totò. Certo, fesso no, ma imbroglione politico senz’altro sì. Non è in discussione il diritto di cambiare idea, ci mancherebbe. È che Di Maio ha più imperdonabilmente tradito i principi spacciati da lui e dalla sua masnada come «irrinunciabili» perché gli unici in grado di distinguerli dalla Casta senza ideale e senza morale. Lasciamo stare i vari “no” a Tap, Tav, Muos e pedemontane varie, poi trasformatosi in “nì” quando non in “sì“. E lasciamo stare pure le precipitose ritirate puntualmente seguite ai roboanti annunci di baldanzose avanzate. Qui parliamo d’altro.
I Razzi e gli Scilipoti non si atteggiavano a moralisti
Parliamo di un Di Maio presentatosi come vindice dei cittadini traditi e umiliati dal trasformismo parlamentare, salvo poi cedere allo stesso vizio nel momento del bisogno. E, quel che è più grave, senza fornire uno straccio di decente spiegazione a quegli stessi cittadini. Sì, certo, Giuliano Ferrara può divertirsi a nobilitarlo citando Arthur Rimbaud e la stampa può cimentarsi ad esaltarne il tempismo, dimenticando i secchi di letame scaricati a suo tempo sui Razzi e sugli Scilipoti, immuni – loro – dalla tentazione di impancarsi ad autorità morale. Possiamo, insomma, girarla e rigirarla come ci pare, ma la sostanza non cambia: un comportamento come quello Di Maio fa politicamente schifo. Di più: al suo confronto, i deputati che allora avallarono la tesi «Ruby nipote di Mubarak» per tutelare dal talebanismo giudiziario l’ultimo premier eletto, si stagliano ora come altrettante sentinelle immolatesi a difesa della volontà popolare.