Governo e “campo largo”, il bello comincia ora: come Conte scompiglierà i piani di Draghi e Letta
Sono quelli di Mario Draghi e di Enrico Letta i volti più rischiarati dai bagliori dell’esplosione pentastellata innescata dalla scissione di Luigi Di Maio + 60. Il Day after ha l’effige di entrambi: Draghi per la sorte che toccherà al governo; Letta per il destino che attende il suo campo largo. Le due questione sono profondamente intrecciate, per quanto sia soprattutto la prima a condizionare la seconda. E qui entra in gioco Giuseppe Conte: quali saranno le sue prossime mosse? Prenderà cappello dopo il voltafaccia di Di Maio riconducendo all’opposizione quel che resta del M5S in Parlamento o farà finta di nulla?
Il trittico Di Battista-Raggi-Appendino
Né l’una né l’altra, assicura chi sta analizzando sul campo la strategia dell’ex-premier: Conte strapperà, ma non subito e non da solo, nel senso che non sarà l’unico frontman della remuntada nei confronti di Di Maio. Gli altri nomi sono quelli delle ex-sindaco Virginia Raggi e Chiara Appendino, anche se in cima ai desideri di tutti c’è soprattutto quello di Alessandro Di Battista. Si vedrà. L’appuntamento è a dopo l’estate. Solo a partire da allora Conte e i suoi potranno decidere il da farsi sul governo. Pesa la circostanza di non rappresentare più il gruppo più consistente del Parlamento. Infatti, se da un lato eviterebbe di esporre il M5S all’accusa di mettere in crisi il governo, dall’altro, uscire senza produrre conseguenze, ne certificherebbe la sopraggiunta irrilevanza politica.
Con chi, tra Di Maio e Conte, si alleerà il Pd?
Ma tant’è: l’attuale capo politico può ridare senso (e recuperare consenso) ai 5Stelle solo se li estrarrà dal limbo in cui si trovano. Ma qui insorge la questione del campo largo. Un MoVimento tornato stabilmente all’opposizione è una mazzata formidabile alla strategia di Letta. Costretto a quel punto a scegliere tra la neonata sigla di Insieme per il Futuro e un M5S in crisi quanto si vuole, ma il cui brand risulta pur sempre attestato su un 10-12 per cento. Senza quei voti, si sa, la sinistra non ha neppure la possibilità di competere contro il centrodestra. Insomma, se Di Maio sembra essersi assicurato un posto in paradiso anche per la prossima legislatura, Draghi e (soprattutto) Letta si accingono a vivere giorni d’inferno.