Guzzetta: «Astensionismo drammatico, basta alibi. Non ci sono né vincitori né vinti»

13 Giu 2022 13:54 - di Eugenio Battisti

“Il risultato è molto chiaro e deve essere riconosciuto innanzitutto da chi lo ha promosso e sostenuto. La cosa più complessa è individuare le cause di questo esito. E quindi la vera domanda non è tanto chi ha perso, che mi pare chiaro. Ma chi può dire di avere vinto quando l’80% dei cittadini decide di non esercitare il proprio diritto costituzionale”. Giovanni Guzzetta non ha dubbi sull’esito dell’appuntamento referendario, prevedibile ma non con queste dimensioni.

Referendum, Guzzetta: drammatico flop, interroghiamoci

Per il professore di Diritto pubblico all’Università Tor Vergata di Roma, difensore dei cinque quesiti referendari, le cause del  fallimento sono tante, antiche e recenti. “Dovranno essere indagate per decidere se questo istituto ha ancora senso nella nostra democrazia. Se quindi va riformato oppure no. Chi si accontenta di una sola causa determinante (l’astensionismo fisiologico o la scarsa informazione) non ha capito l’enormità dell’evento che non ha vincitori. Cerca solo un alibi”, spiega a colloquio con l’Adnkronos.

“Non ci sono né vinti né vincitori”

Guzzetta ricorda che non è questo referendum a segnare il picco negativo. Ma un trend di anni molto chiaro in questa direzione: “Dal ’95 a oggi solo una volta si è raggiunto il quorum. Tra l’altro su referendum altrettanto difficili sulla carta. Come quello sull’abrogazione parziale delle tariffe idriche del 1995 che ha avuto il 54% di partecipazione. Non era un referendum semplice ma i cittadini lo hanno votato”. Oggi l’astensionismo riguarda anche le elezioni politiche e le amministrative. Non ultime quelle di ieri.

La sorte della riforma sulla giustizia è imprevedibile

Difficile dire quale sarà la sorte della riforma sulla giustizia. “L’astensione è un atteggiamento che non ha un verso. Chi si astiene non dice perché e non dice cosa vorrebbe. Come chi vota sì o no”. L’unico dato positivo – continua  Guzzetta – è la demarcazione del risultato sul quesito 1 (sulla legge Severino). Per il quale l’affluenza è stata del 20,95% ed i sì registrati sono stati il 54,01%. “Indica il pluralismo delle posizioni dei cittadini che sono andati a votare. Non schematizzabili in modo netto, perché ognuno ha fatto la propria riflessione. Rispecchia un approccio laico, non ideologico”.

La democrazia della delega incombe sulla politica

Il tema su cui interrogarsi è “la tendenza all’astensionismo. Imperante ancora in queste elezioni anche sul versante di organi rappresentativi prossimi ai cittadini. Come i Comuni. E il rischio – osserva il costituzionalista –  è che ci sia sempre più una democrazia della delega gravante su politica e organi rappresentativi. La responsabilità del fallimento del referendum è determinata da una serie di concause difficili da valutare a caldo. È fisiologico che un 20-40% non voti. Ma l’80% dei cittadini che non vota è un dato drammatico e molto significativo”. Il referendum sulla cannabis, bocciato dalla Consulta lo scorso febbraio, avrebbe favorito l’affluenza? “Erano temi di altro impatto simbolico che avrebbero accentuato l’interesse. Ma perché si possa votare un referendum è necessario che la Consulta lo ammetta. E in questo caso non è successo”.

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