Khaby Lame è diventato il tiktoker più seguito al mondo: nato a Dakar, è arrivato in Italia quando aveva un anno
Khaby Lame è ufficialmente il tiktoker più seguito al mondo. Il ragazzo di Chivasso, divenuto famoso grazie a una comicità muta fatta di espressioni e gestualità, oggi ha raggiunto la quota 142,4 milioni di follower, scalzando dal primo posto sul popolare social cinese la statunitense Charlie D’Amelio.
Khaby Lame è diventato il tiktoker più seguito al mondo
Lame, 22 anni, nato a Dakar e arrivato in Italia quando aveva appena un anno, ha iniziato a postare video che lo hanno consegnato alla fama mondiale durante il lockdown, per noia. Al centro dei suoi sketch c’è una presa in giro dei tormentoni social che vedono influencer più o meno famosi arrabattarsi in situazioni complicate ad arte. Lui risolve i grattacapi nel modo più semplice e di buon senso possibile, per poi concludere con quel gesto delle mani che significa “ecco, che ci voleva?” e che è diventato un marchio di fabbrica, imitato da star di tutto il mondo e di tutti i settori, dallo sport al cinema.
Da Chivasso alla fama mondiale
Fra i successi di Lame, anche quello di essere stato chiamato come giurato al Festival di Cannes nella sezione dedicata ai tiktoker. La storia di Lame è di quelle che fa piacere conoscere: figlio di immigrati, cresciuto in una casa popolare del quartiere Borgo Sud Est a Chivasso, è stato licenziato dal suo lavoro di operaio a causa della pandemia. Con ogni probabilità senza neanche immaginare il successo che l’aspettava, si è avvicinato ai social con una comicità positiva, garbata, lontanissima da certe forme sguagliate e diseducative adottate da molti suoi coetanei.
Quella comicità muta e italianissima
C’è poi un tratto peculiare in questa comicità, che nei suoi gesti, nella sua mimica è italianissima. L’argomento dell’italianità di Khaby Lame è spesso utilizzato a fini politici. Non si esime dal farlo, anche oggi, Repubblica, che nota come il ragazzo non abbia ancora la cittadinanza. «Quanti ragazzi come Khaby Lame ci sono nel nostro Paese? Quanti sono italiani a tutti gli effetti tranne il fatto che questo Paese continua ad ignorarli? Possibile che non ci sia un partito che voglia fare questa battaglia politica per i diritti?», si legge nel pezzo. Dove voglia andare a parare è chiaro. Proprio questo tipo di ragionamento, però, dimostra che per essere integrati, per essere e sentirsi italiani non serve la cittadinanza, ma sposare i valori della società in cui si vive. Lo stesso Khaby, del resto, un annetto fa chiarì in un’intervista al Corriere della Sera di sentirsi italiano e che «non mi serve un foglio di carta per saperlo», aggiungendo anche che «solo ora che sono diventato famoso pensano alla mia cittadinanza, prima non importava a nessuno».
È giusto, giustissimo che Khaby Lame abbia, se la vuole, la cittadinanza italiana non appena possibile. Ma, per chi è in vena di domande e risposte, ci sono anche altri interrogativi che ci si può porre: quanti di quelli di Peschiera del Garda avevano la cittadinanza? Quale differenza ha fatto? Quanto ha inciso sulla loro integrazione? E, soprattutto, non possiamo semplicemente gioire per il successo di questo ragazzo senza doverlo per forza tirare per la giacchetta di qualche causa politica? Oggi è il giorno di Khaby e di tutti i ragazzi di talento che ce la fanno. Per le polemiche – e le strumentalizzazioni – ci sarà tempo.